𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 14

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Linguaggio scurrile.

| 𝗡𝗲𝘄 𝗬𝗼𝗿𝗸 𝗖𝗶𝘁𝘆,
New York

-
Due giorni prima

*

«¡Càllate

Carlos cammina per la stanza, mente tra sé e sé borbotta qualcosa di indecifrabile.
So lo spagnolo, lo parlo, ma in questo momento il mio cervello si trova in uno stato di completo blackout.

«¡Jodete, chica!», urla in preda alla rabbia, lanciando una bottiglietta d'acqua contro il muro.

Sussulto a causa del rumore acuto, stringendo la testa fra le mani.
Stringo gli occhi, come se in questo modo riesca ad isolarmi completamente e scomparire da questa situazione.

Sono con le spalle al muro, un muro freddo e dai colori sbiaditi.

«¡Que coño! »

«Lo sai che a giocare col fuoco prima o poi ci si brucia? Giuro che vi ammazzi, entrambi!»
Sbraita gesticolando in aria senza un senso logico.

Il volto gli diventa rosso pomodoro, le vene sul collo si gonfiano.
Perché nessuno mi viene a salvare?

Sento la testa esplodere e il cuore andare a tremila all'ora. Il respiro è pesante e l'aria inizia a bruciare; i polmoni fanno fatica a compiere il loro lavoro.

A volte la curiosità è nemica dell'uomo,
lo porta alla condanna, nel buio dell'inferno.
Il rumore del metallo a contatto con il pavimento mi fa rabbrividire.

«Non conoscete limiti voi giovani! Avete queste manie di protagonismo...» aggiunge, puntandomi un dito contro.

Sussulto quando le sue mani afferrano violentemente i miei capelli, obbligandomi a piegare la testa all'indietro.
Sento la cute tirare e il collo fare male per la posizione scomoda in cui mi trovo.

Gemo stringendo i denti.

«Carlos...»

«¿"Carlos" qué?» la voce pungente dell'uomo arriva alle mie orecchie come un tornado di emozioni contrastanti.

Capisco.
Lo capisco.
Comprendo il motivo della sua incazzatura:
mi ha trovato nascosta nella cantina, in un luogo proibito, mentre rovistavo nelle sue cose.

Odio il suo profumo che inebria le mie narici, ma adesso, in una situazione in bilico tra la vita e la morte, me lo ritrovo a pochi centimetri dal viso.

I suoi occhi sono puntati sul mio volto, li sento bruciare, che trema dalla paura, condizionato dal fatto che Carlos sia famigerato per il suo carattere imprevedibilmente caotico.
Preferirei essere ad un passo dal diavolo, che da lui.

"Ma lui è il diavolo, Delaney" ricordo a me stessa, mentre provo a fare un respiro profondo e a calmarmi.
La tassa toracica si alza e si abbassa con un ritmo piuttosto irregolare ma che sembra, piano piano, prendere un ritmo.

Tengo lo sguardo basso per pausa di incontrare le sue iridi buie, proprio come il suo cuore malato.

«Che cosa dovrei fare con te, Delaney? Illuminami tu perché io davvero non so più come comportarmi con voi bambocci!» dice ad alta voce, allargando le braccia.

Sospiro.

«Déjame ir...», borbotto con la poca voce rimasta in corpo. La gola è rossa, lo sento, in conseguenza a tutte le urla che ho lanciato dopo che mi ha trovato al Velvet.

The Devil's NightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora