𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 1

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!!ATTENZIONE!!, IL CAPITOLO E' AMBIENTATO IL 27/11, OVVERO DI MERCOLEDI', NON SABATO!

| 𝗡𝗲𝘄 𝗬𝗼𝗿𝗸 𝗖𝗶𝘁𝘆,
New York.

Chi sono io? Chi sarei dovuta essere?

La notte affondavo la testa nel cuscino mentre cercavo di darmi una risposta logica. La mattina osservavo il mio viso nel riflesso del tè verde per cercare d'intravedere una possibile risposta.

I miei genitori mi avevano chiamato Hazel Delaney Wilson. Un misto tra il ricordare il colore dei miei occhi e l'onorare l'anima della mia, ormai, defunta nonna.

Pace all'anima sua.

Ho ricercato per anni una valida risposta, consultandomi anche con psicologi, ma nessuno è riuscito a dirmi nulla di plausibile. Sembravano una mandria di bambini sotto effetto di sostanze. Replicavano come se dovessero raccontare una storia fantastica ad un neonato che non capisce nulla e che si fa andar bene qualsiasi cosa.

Mia madre talvolta mi ricorda i tremila dollari di debiti da risarcire nei loro confronti.

Per lei sono solo dei mangia-cervelli che succhiano soldi.

Avete presente Shameless? Ecco, credo che lei sia la reincarnazione di quella merda. La donna che mi ha messo al mondo? Preferisce spendere i suoi soldi per compare super alcolici invece di aiutarmi a pagare la retta universitaria.

Sapete come guadagno mille dollari al mese?

La mattina vado all'università, seguo le lezione e alle due esco. Per un paio d'ore  lavoro in libreria, o almeno cerco di farlo, e dalle nove alle undici studio. Dopo? Dopo mi diletto nel cercare di non morire su una moto.

In quei dieci minuti, in sella ad una motocicletta, metto da parte la paura e cerco di racimolare denaro.
Soldi che finiranno direttamente nelle tasche di mia madre.

«Tesoro, la cena è pronta!» eccola che urla dalla cucina mentre sforna il pollo con le patate.
La scia di profumo si dilunga lungo tutto il corridoio, arrivando persino alla zona notte.

«Mamma, ti avevo detto che volevo mangiare qualcosa di leggero. Mi bastava un po' di insalata!» replico, mentre prendo posto a tavola. La sedia striscia sul pavimento, obbligandomi a stringere gli occhi per lo stridolio fastidioso.

Alza gli occhi al cielo, sfilandosi i guanti e appogiandoli sulla penisola.

«Mi spieghi cosa devi fare tutte le sere da impedirti di mangiare il mio pollo al forno? E poi non ti riempirà così tanto, stai tranquilla, tesoro». Taglia in pezzi quel povero animale, servendomi metà coscia. A mia volta la taglio aiutandomi con coltello e forchetta, poi lo addento.

Poso gli occhi sulle bevande che mia madre aveva preso. Corrugo la fronte e sorrido scuotendo la testa: «Hai dimenticato la birra-» le faccio notare, indicando il frigorifero che apre subito, afferrando due bottiglie da mezzo litro.

«Ecco cos'avevo scordato...» borbotta fra sé e sé, colpendosi la fronte con il palmo della mano. Continuiamo a mangiare mentre scambiamo qualche parola sulla giornata appena trascorsa.
Nonostante questo, la maggior parte della cena la passiamo in silenzio.

Aveva passato l'intera mattinata in posta per poter ritirare il sussidio da parte del comune per le persone in terapia, poi è andata a "farsi bella" dall'estetista e infine ha fatto un salto al supermercato per compare due bottiglie di vino rosso e una cassa d'acqua.

Le sue parole mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro, con la speranza che arrivassero subito le nove e poter salire in camera mia e starci finché non sarei dovuta uscire. Durante il pasto, guardai più volte l'orologio, incrociando le dita che quel calvario finisse il prima possibile. Odio passare molto tempo con lei, perché poi le conversazioni si concentrano soprattutto sui suoi problemi con l'alcol e mai su come stia io.

The Devil's NightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora