𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 2

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| 𝗡𝗲𝘄 𝗬𝗼𝗿𝗸 𝗖𝗶𝘁𝘆,
New York.

Flashback, un mese prima.
LIEKY FOSTER

*

"Da Carlos" così aveva deciso di chiamare il pub che si affacciava sulla periferia del Bronx.

Quando arrivammo a New York, io e i miei genitori, decidemmo di comprare una lussuosa villa fuori Manhattan, in un quartiere sorvegliato h24 dalle pattuglie della polizia. Spesso era bersaglio di attacchi da parte di gang malavitose, ma nonostante questo i miei decisero che fosse il posto migliore per due avvocati "in cerca di tranquillità", testuali parole.

Al compimento dei miei sedici anni, capii che fosse arrivato il momento di andare a lavorare e racimolare qualche spicciolo per togliermi qualche sfizio adolescenziale. Mi imbattei casualmente in un annuncio affisso sulla bacheca scolastica, perciò decisi di chiamare il numero riportato.

Carlos mi ha sempre supportato in quello che facevo. È stato proprio lui ad assumermi nel mio primo lavoro: lavorai nella sua pizzeria. Poi decise di aprire Il locale, Il Velvet, e andò alla grande. Anche lui non era proprio un santo ma cercò sempre di tenermi fuori da quel mondo.

Finché un giorno non lo scoprì per sbaglio.

Peccato.

Ogni suo servizio, biblioteche, pub o ristorante è provvisto di una cantina chiusa a chiunque di non autorizzato, compreso io.

Mi ha sempre proibito di scendere nei seminterrati, minacciandomi con frasi costruite a D.O.C.

Il locale era una piccola casa sotterranea che Carlos aveva ristrutturato e arredato come meglio poteva. Lentamente, con il tempo e la pubblicità, è riuscito a creare un piccolo mondo accogliente e sicuro, agli occhi della polizia e del popolo esterno, ovviamente.
Alla soglia dei miei ventidue anni posso affermare che Carlos sia un maestro nel mondo del crimine, di cui facciamo parte orgogliosamente.

Un sicario in pensione, ragazzi.

«Buongiorno, come la posso aiutare?» domando al ragazzo appena entrato, facendo qualche passo verso di lui.
Indossava una tuta verde militare, con degli scarponi neri leggermente macchiati di fango.

«кодекс.» sussurra, appoggiando le mani sul bancone in legno.
Lo guardo di sbieco, cercando di decifrare le sue parole. Assottiglia lo sguardo, soffiando come un bisonte inferocito. Il mio sguardo interrogativo gli fa intuire il mio pessimo livello di russo, decidendosi a tradure la parola in inglese.

«codice» ripete una seconda volta con il suo accento slavo. Sorrido per fargli intendere di aver capito a cosa si riferisse. Gli faccio un cenno con la testa, così che mi segua.
Lo conduco nello scantinato che usa di solito Carlos come deposito armi. E' l'unico a cui ho accesso.

Possiede una miriade di cecchini, munizioni, bombe, pugnali e altre cose alla quale non sapevo nemmeno dare un nome.
Era così affascinante che la sera, dopo la chiusura, mi rifugiavo là sotto per capirci un po' meglio. Sapete, in caso di necessità è fondamentale conoscere il proprio arsenale.

Sì, era vero, anche io uccidevo, ma non con armi. Io lo facevo in sella ad una moto, con un casco che mi proteggeva, mentre sfrecciavo a 100km/h su una strada sterrata in mezzo ai boschi abbandonati.

«Accomodati.», lo invito a sedersi, confuso fra mille pensieri e con la paura che se la potesse prendere con me.

«Dov'è Carlos? Io avere appuntamento con lui!» domanda con un accento fra l'inglese e il russo. Odiavo queste persone, eppure le incontravo più spesso di quanto si possa immaginare.

The Devil's NightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora