𝑪𝑨𝑷𝑰𝑻𝑶𝑳𝑶 8

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| 𝗡𝗲𝘄 𝗬𝗼𝗿𝗸 𝗖𝗶𝘁𝘆,
New York.


Sono passate tre settimane dalla gara. Due settimane che non esco se non per andare a lezione, e basta.

Non parlo con nessuno, né con Reed né con Grab. Mi sono chiusa in me stessa, isolandomi dal resto del mondo.

Mi madre? Non le scrivo o la chiamo da quando me ne sono andata. L'ho totalmente esclusa, sentendomi un po' in colpa. Ma alla fine sono i rimorsi il male del mondo, giusto?

Giusto.

Cerco di autoconvincermi che quella corsa non sia mai esistita, che non fosse mai stata così rilevante. Lieky Foster? Morto. Sembra si sia disperso nell'aria gelida del Bronx, o Manhattan che dir si voglia. Dopo la fine della gara non mi ha rivolto mezza parola, nemmeno un saluto o uno sguardo nella mia direzione.

Sono le sette di sera e mi ritrovo rannicchiata sul letto, con la testa appoggiata sulle ginocchia e le braccia che avvolgono le mie gambe. Mi sento così triste.

Com'è andata la sfida? Ho perso. Foster mi ha stracciato di brutto, facendomi mangiare la polvere in tutti i sensi. Sono partita in ritardo e quei pochi secondi di distacco hanno fatto la differenza.

Non l'ho più recuperato, e lui si è classificato, nuovamente, il più forte degli ultimi tre anni.

Quando siamo scesi dalla moto, sono corsa nella sua direzione, convinta di potermi congratulare con lui, ma sono stata solo una povera illusa. Mi ha sorpassato, non guardandomi neanche in faccia, con occhi rivolti verso il suo amico che lo aspettava dentro il Capannone.

L'ho inseguito, cercato ma lui è scappato con la coda fra le gambe. L'ho anche afferrato per una manica, ma lui si è divincolato ed è tornato per la sua strada.
L'unica volta in cui mi ha piantato le sue iridi nelle mie, è stato per lanciarmi per terra un mazzetto di duecentocinquanta dollari in contanti.

Prima me ne ha dati duecento poi, impietosito, me ne la lanciati cinquanta in più.

Me ne pulisco il culo, lurido bastardo.
Spero che Carlos lo conci per le feste.

Reed è come sempre ad allenamento, ma dovrebbe arrivare a momenti, oggi li avrebbero trattenuti un po' di più a causa della prima partita del campionato che è agli sgoccioli.

Sospiro affranta, avvilita, stanca.

Affranta emotivamente, avvilita fisicamente e stanca sotto tutti gli aspetti possibili.
Lieky è morto per me. Non lo voglio più vedere, sentirlo, parlargli. È solo un vago ricordo che arieggia nella mia mente.

«Alzati.» mi impone Reed non appena mette piede nella stanza. Accende la luce, non bastandogli quella soffusa dell' abat jour che avevo sul mio comodino. Ovviamente di Ikea.

«Perdonami?» rispondo accigliata, alzando lentamente il busto. Reed avanza verso di me, lasciando il suo borsone sopra la sua scrivania.

Aveva ancora i capelli umidi e un paio di gocce residue scivolavano libere sopra la sua fronte.

«Sei in condizioni indecenti, Hazel. Forza, alzati». I suoi pugni sono serrati, la mandibola digrignata.

«Non te lo ripeterò un'altra volta. Fatti una doccia che usciamo». I miei occhi si spalancano; la bocca si apre dallo stupore. Mi sollevo dal letto, con ancora il pigiama addosso e i capelli arruffati che sembrano un nido d'uccello.

«Indossa qualsiasi cosa tu voglia, fatti bella, prenditi cura della tua persona. Ti aspetto in giardino».

Si dilegua così, senza darmi ulteriori spiegazioni. Rimango lì imbambolata per una manciata di minuti, rimuginando sulla proposta appena fatta da parte di Reed. È un ragazzo dal cuore d'oro, l'ho sempre pensato e lui l'ha sempre dimostrato, ma non se n'è mai saltato con proposto del genere. Mai.

The Devil's NightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora