Quattordici

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Namjoon aveva una carriera, mentre lui no.

Non aveva smesso di pensarci per i seguenti quattro giorni.

C'erano tantissime cose a cui non smetteva di pensare. A Taehyung che gli aveva fatto visita, al resto dei suoi amici che non si erano fatti sentire, a Hoseok e al loro bacio, alle botte che aveva preso, alle cose che non sapeva lasciare andare, ai medicinali che doveva prendere, alla solitudine di cui non sapeva l'origine e da cui non guariva, alla sua incapacità di essere al pari degli altri. Era una gran mole di pare mentali da sopportare, chi mai riuscirebbe a reggerle senza crollare? Yoongi a malapena, le reggeva dormendoci su. 

Mettere mano su qualsiasi canzone lo faceva stare male. Solo pensare alla musica lo faceva soffrire, il pensiero era come un filo spinato attorcigliato attorno al cuore che stringeva la presa. Era un dolore atroce di cui non sapeva liberarsene. O liberarsi. E se anche la cosa che più lo faceva stare bene era diventata la cosa che gli provocava più dolore di ogni cosa, era proprio senza via d'uscita. Da quando amare qualcosa equivaleva al soffrire? Da quando si prova invidia e astio per un tuo amico? Un fallimento totale. Non c'erano parole. Era fallito come amico e come persona. Non doveva volergli bene? Allora perché diamine lo feriva così tanto? Non poteva amare qualcosa senza che questa lo ferisse? Doveva abbandonare le insulse cose che lo circondavano se voleva liberarsi dal dolore, e tutti ti parlano di lasciare andare le cose che ti fanno male, ma nessuno ti dice quanta soffererenza la separazione possa causare. Se sapessero, nessuno ti direbbe di farlo, nessuno ti proporrebbe di provare un dolore del genere.

Poi, si creava lo spazio per un'altra domanda: come abbandoni le cose che sono già lontane da te? Sono sull'uscio della porta, come cacci qualcuno che se ne andrà a momenti? Aspetti che se ne vada da solo, non hai il coraggio di tirarlo indietro con le tue mani. Nelle tue mani languide e pallide sono capaci di centinaia di cose: di sfilare una sigaretta, di portare una bottiglia alla bocca, di grattare la pelle, di impugnare una lametta, di infilare due dita in gola, e nonostante tutto non sono capaci di tenere stretto qualcosa.

Yoongi le osservava. Osservava le cicatrici che gli ricordavano i graffi e le bruciature, le ferite sotto pelle che soltanto lui, quando distanziava e riavvicinava le dita tra loro chiudendole in due pugni stretti, poteva vedere. Che poi, com'era finito a privarsi di esistere solo perché la vita improvvisamente aveva preso a essere stretta, non se lo sapeva spiegare proprio. Un giorno si era sentito solo e quel giorno la solitudine aveva deciso che sarebbe sempre stata con lui.

Era notte fonda in camera sua. Yoongi aveva preso il  depakin 500, poi la melatonina e il Valium per dormire senza successo, perché delle voci e l'abbaiare di un cane lo avevano svegliato. Controvoglia, si era alzato ed era andato in cucina a prendere 15 gocce di Xanax sperando che questo lo stendesse, ma aveva solo passato venticinque minuti a fissare il soffitto per venticinque minuti attendendo gli effetti inutilmente. Perciò, sofferente, aveva preso la decisione di passare al piano C: bere. Ma non aveva le forze né la voglia di farlo, allora decise che il suo corpo doveva uscire fuori di casa. Non lontano, soltanto fino alla piazzetta sotto casa sua, più lontano sarebbe stato un viaggio per cui non aveva le facoltà. Si era seduto sopra una delle altalene, e lasciava che la brezza lo accarezzasse tranquillamente finché non si ricordò della notte in cui le aveva prese di santa ragione, e si alzò di scatto, guardandosi le spalle, girando la testa a destra e a sinistra. Non appena udì un rumore lieve di foglie schiacciate, Yoongi sobbalzò. Continuò a guardarsi attorno senza vedere nessuno, e più vedeva nero e solitudine, più si dannava. Agitava il capo tormentato, il rumore si ripeteva dentro il cranio ad oltranza. Si chiese se fossero delle allucinazioni o se c'era qualcuno che si stava avvicinando di soppiatto e lo avrebbe aggredito nuovamente, ma le foglie c'erano e il rumore c'era stato, era più che plausibile potesse succedere. Doveva filarsela. Inghiottito dalla paura, l'improvvisa suoneria lo fece sobbalzare. Il cuore aveva smesso di battere. Si accorse della vibrazione nella tasca posteriore, però rendersi conto che era il suo cellulare non lo aveva tranquillizzato. Lo prese velocemente, controllò il contatto e rispose.

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