Parte 1 - Berlino

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19 dicembre 1938

La neve scendeva lenta sulle strade berlinesi e si scioglieva non appena toccava l'asfalto. In quel quartiere c'era un silenzio che avrebbe potuto congelare più del freddo inverno, rotto soltanto da poche macchine. Da una di questa scesero due uomini vestiti di nero con un cappello a coprirne il capo e parte del volto. Tutto di loro, dalla postura eretta alla camminata decisa, ai caldi stivali di cuoio, suggeriva disciplina. Entrarono nel locale e si sedettero ad un tavolo non troppo lontano dalla porta senza togliersi il cappello.
"Posso offrirvi qualcosa?", chiese una cameriera inclinando leggermente il busto per mettere in mostra i seni prosperosi.
"Acqua. Siamo in servizio.", rispose quello che sembrava il capo. Non appena se ne fu andata riprese a parlare all'altro. "Dimmi un po', giovanotto. Cosa vedi? O meglio, chi?"
Il ragazzo spostò appena il cappello e osservò la taverna con i suoi occhi color ghiaccio.
"Ubriaconi."
"Guarda meglio."
"Quello laggiù nell'angolo. Il suo bicchiere è ancora pieno."
L'altro sorrise. "Bene, e poi? Ricordati che i nostri nemici potrebbero essere ovunque. Niente discriminazioni: donne, uomini, stranieri o tedeschi. Perfino bambini."
"Come posso riconoscere un anarchico o un comunista dalla faccia, allora?", chiese il ragazzo socchiudendo gli occhi e continuando a squadrare la sala.
"Non dalla faccia, giovanotto. Guarda al di là. Si tradiscono con i gesti che fanno, o più spesso che non fanno. E ora guarda bene, Theodolf Huber."
L'espressione di Theodolf si rilassò e gli occhi si illuminarono. "La cameriera."
"Perché?"
"Ci sta mettendo troppo a portare due bicchieri di acqua."
"Bene. Ora guarda sul palco."
Theodolf si girò. Sul palchetto che poco prima non aveva notato, assorto nella ricerca di chissà quali minacce, cantava una ragazza. Aveva dei corti riccioli biondi, elegantemente pettinati secondo la moda di qualche anno prima. La canzone, dolce e malinconica, richiamava anch'essa un passato non troppo lontano. Un vestito del periodo Charleston rifiniva il tutto. Una giovane donna degli anni venti era stata sbalzata in avanti nel tempo e cantava in quella piccola locanda senza nome.

Appena finita la canzone si alzò per uscire, ma una strana sensazione la costrinse ad alzare lo sguardo verso l'angolo più lontano. Incontrò un paio di occhi chiari che la guardavano meravigliati. Dopo pochi secondi riuscì a riprendere il controllo del proprio corpo e uscì in fretta verso la porta posteriore.
Appena la richiuse sentì l'aria fredda pizzicarle le guance. Si calmò e accese una sigaretta.
"Ehi, Krista... Cosa ci fai tutta sola?", le chiese una voce nasale, come quella di un ubriaco. Si voltò di scatto. Un uomo era appoggiato al muro e la guardava di traverso, strizzando gli occhi per metterla a fuoco. Non si reggeva nemmeno in piedi.
"Niente, fa proprio freddo...", fece per rientrare.
"No, non è vero. Tu adesso stai un po' qui con me!", urlò lui bloccando la porta. La ragazza rabbrividì.
"Io ho proprio freddo. Se non rientro subito potrei prendere un raffreddore. Come potrei cantare, allora?"
"Non mi importa un fico secco della tua gola. Tu adesso stai qui con me!", l'uomo allungò una mano per afferrarla, ma lei si scostò e si voltò per scappare quando andò a sbattere contro qualcuno. Alzò lo sguardo e riconobbe il ragazzo che l'aveva guardata prima. Si era abituata in fretta ad essere fissata, ma quegli occhi così chiari erano qualcosa di speciale. Ogni volta che incontravano i suoi, il suo stomaco si contorceva e il suo corpo smetteva di risponderle, desiderando soltanto perdersi nella profondità di quei mari. Il ragazzo distolse lo sguardo in fretta e sciolse quell'incantesimo, lasciandole così la libertà di guardarlo meglio. Aveva dei folti capelli neri e la carnagione leggermente scura, in contrasto con gli occhi. I lineamenti del viso erano eleganti ma virili. Strinse la mascella prima di parlare.
"Signorina, vi sta per caso importunando?"
"Io... Ecco... Me ne stavo andando...", farfugliò l'ubriaco procedendo rasente al muro aggrappandosi alle mattonelle scoperte, senza distogliere mai lo sguardo dalla pistola che si intravedeva sotto il cappotto aperto del ragazzo.

"Vi ringrazio, mi avete salvata...", sussurrò la ragazza.

"Era mio dovere."

"Posso... Posso chiedervi il vostro nome?"

"Sono il cadetto Theodolf Huber, squadra 21 delle Schutz Staffeln."
"Piacere, io sono Kristina Dietrich ma qui mi conoscono tutti come Krista."
"Avete un nome d'arte?"

"In realtà, preferisco che la maggior parte delle persone che mi ascoltano non conoscano il mio vero nome. Potrebbe essere problematico.", aveva stretto le mani intorno alle braccia per proteggersi dal freddo.

"Volete il mio cappotto, signorina Dietrich?", chiese Theodolf sfilandosi l'indumento.
"No, grazie. Stavo giusto per rientrare. Verrete a sentirmi ancora?", alzò lo sguardo speranzosa.

"Certo, ma la prossima volta spero di essere qui in veste meno ufficiale..."
"Vi aspetterò, cadetto Huber."


Krista si tolse la parrucca bionda e liberò la sua lunga chioma rossa. Appoggiò i vestiti su una sedia e indossò un paio di pantaloni, una maglia sformata e un berretto di lana sotto al quale raccolse i capelli. Infine calzò un paio di stivali e uscì dalla locanda. Scivolò velocemente per i vicoli, con in tasca la paga di quella settimana come ogni lunedì. Entrò in una casetta minuscola, ma pulita e ordinata.
Si pettinò e intrecciò i capelli, si tolse i vestiti e indossò una semplice camicia da notte. Attizzò il fuoco nel camino, che fortunatamente non si era spento e si sistemò accanto al fuoco per qualche minuto.
Quel ragazzo era un cadetto delle SS. Un suo nemico.
"Nonna, guarda un po' cosa fa la tua piccola Dalila invece di sopravvivere. Questa volta mi sto cacciando in un guaio bello grosso."
Si buttò sul letto addormentandosi poco prima che i primi raggi del sole illuminassero Berlino.

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