9 febbraio 1941
Nel vagone piombato faceva freddo. Tutte le donne si stringevano l'una all'altra alla ricerca di un po' di calore, con i figli tra le braccia stanche e la bocca troppo secca per parlare.
Tutte avevano la stessa espressione rassegnata, tranne una. Era seduta nell'angolo più lontano, più buio e gelido dello scompartimento. Aveva la testa poggiata sulle ginocchia e canticchiava una vecchia canzone tedesca ad un bambino che la guardava sconcertato.
"Perché canti in una lingua strana?", le chiese.
"Non è strana. È la mia lingua."
"Però parli italiano..."
"Lo parlo ma non è la mia lingua. Non conosco canzoni in italiano..."
"Quindi la tua lingua è quella in cui canti?"
Sorrise appena, prima di annuire. Uno scossone segnalò l'arrivo in una stazione. Un gruppo di uomini entrò nello scompartimento e guardò le donne. Dalila sentì l'eco dei loro commenti e le loro risate. Strattonarono alcune donne e le fecero uscire dal vagone. Uno di loro si avvicinò a lei, e mentre pregava che le passasse accanto senza notarla, sentì uno di loro imprecare contro una ragazza che avrà avuto l'età di Rita e schiaffeggiarla violentemente. L'uomo si girò ed andò a calmare il collega prima che questo esagerasse. Lasciarono la ragazza agonizzante sul pavimento. Non appena il treno fu ripartito Dalila si alzò e andò ad aiutarla a sedersi.
"Tutto bene?", le chiese.
"No, ma non importa...", rispose quest'ultima. Aveva le mani bianche come lenzuola e una cicatrice le copriva metà del viso.
"Melania!"
"Dalila, cosa ci fai qui?"
"Probabilmente la stessa cosa che fai tu. Sei un'ebrea?"
"No, sono la figlia di un comunista, che è peggio.", mormorò tesa.
"Vieni, appoggiati al muro. Non mi sembra ci sia nulla di grave. Sopravvivrai..."
"Io non credo. Non si esce vivi da lì... Mi dispiace, Dalila, ma tu non te lo meritavi..."
"Nessuno se lo merita, nessuno... Ora riposa."
Theodolf era arrivato a Cracovia quella mattina, con Kiyomi appresso, dopo una settimana di viaggio.
Era partito alla ricerca di una sconosciuta, senza chiedersi nemmeno per un momento se si fosse sbagliato. E senza sapere come avrebbe reagito se avesse avuto ragione. La sua Krista, in quel caso, gli avrebbe mentito...
"Allora, cosa cerchiamo qui? È addirittura più brutto e freddo che in Italia... ", chiese Kiyomi scuotendolo dai suoi pensieri.
"Cerchiamo una persona.", rispose freddo. Non aveva potuto lasciarla da sola, e gli era toccato portarsela dietro. "Se potessi smetterla di lamentarti, ogni tanto, mi faresti un piacere."
"Sei nervoso?", gli chiese per niente intimorita dai suoi modi. "Potrei tirarti su di morale..." Gli si avvicinò e si appoggiò alla sua schiena, abbracciandolo da dietro e posando la labbra sul suo collo.
"Scusami, sono in pensiero. Tutto qui.", si alzò di scatto ed uscì dalla stanza lasciandola sola e stizzita.
"Scendere, scendere. In fretta...", urlava l'ufficiale in tedesco, con un forte accento straniero.
"Che succede?", chiese Melania.
"Siamo arrivate. Ce la fai ad alzarti?"
"Sì. Andiamo. Non sarà peggio che in fabbrica...", rise mentre un sorriso attraversò il volto di Dalila, per un solo istante.
Scesero dal vagone e si misero in fila con le altre donne.
"Per una volta sono contenta che la fila sia lunga.", disse Melania tenendo una mano sullo stomaco.
"Hai ragione. Vediamo di sopravvivere anche qui, Melania."
Dalila sospirò rumorosamente, riempendosi i polmoni di quella fredda aria mattutina. Si sentiva stranamente libera: non avrebbe più dovuto mentire, e da lei non dipendeva la vita di nessuno.
La fila, nel frattempo si faceva sempre più corta. Arrivò anche il loro turno. Furono registrate e visitate. Furono loro dati dei vestiti a righe con un numero stampato sopra, e i loro capelli furono tagliati quasi del tutto. Infine furono sistemate in una baracca con una fila di letti troppo vicini l'uno all'altro. Ne scelsero due in un angolo e ci si sedettero sopra. Non c'erano coperte, né cuscini. Aspettarono.
Dopo qualche ora entrò un ufficiale basso e tarchiato che le squadrò tutte, passando lo sguardo su di loro come fossero animali da macello.
"Ognuna di voi è qui per un motivo, ricordatelo. Le regole sono semplici, disobbedite e verrete fucilate. Ci si alza all'alba, con il suono delle campane. Doccia e poi colazione. Tutto nell'arco di un'ora. Poi andrete a lavorare, ognuna nel suo reparto. Vi dividerete i turni tra voi, ma voglio che il lavoro sia finito entro sera. Cena alle sette e poi verrete di nuovo rinchiuse qui. Non si può girare durante le ore di riposo."
Le squadrò di nuovo.
"Tre di voi lavoreranno in cucina, e sarò io a decidere chi. Le altre avranno un certa quantità di compiti da svolgere. Da domani, visto che oggi ormai è andato... Per chi volesse candidarsi per lavorare in mensa, sarò nel mio ufficio fino a sera.", uscì con passo svelto e cadenzato.
Le donne si guardarono tra loro, incerte se cominciare a parlare tra loro o continuare a studiarsi come se fossero rivali.
"Io non ho intenzione di lavorare in cucina.", esordì Dalila in italiano, rivolta a Melania ma ad alta voce perché la sentissero tutte.
"Nemmeno io.", annuì Melania poco prima di cominciare a tossire.
"Beh, io voglio vivere.", si alzò una giovane donna, dall'altra parte della stanza. Uscì dalla baracca alla ricerca dell'ufficio del soldato senza chiudere la porta. Altre donne la seguirono in silenzio.
"Nessun'altra?", chiese Dalila. Guardò le donne e ripeté la domanda in tedesco. Quando fu sicura di non sentire nessuna risposta si alzò e chiuse la porta. "Così non entrano gli spifferi. Fa piuttosto freddo qui."
"Come fai ad essere così gioviale qua dentro? Poco importa, tra non molto ti spegnerai anche tu...", le disse una delle donne più anziane.
"Sono libera.", le rispose Dalila.
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Memento mori
Historical FictionDalila Wolff ha sedici anni e vive in una piccola cittadina austriaca insieme alla sua famiglia, finché una mattina d'autunno del 1938 il villaggio viene distrutto. Salvatasi per miracolo e sola al mondo, viaggerà per l'Europa straziata dalla violen...