Domenica

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26 gennaio 1941

La domenica era sempre un giorno speciale. Si alzavano tutti più tardi del solito e facevano colazione insieme senza alcuna fretta. Le donne non dovevano andare a lavorare e potevano passare il tempo con i loro figli. Marta prese in braccio Samuele con fatica, ormai si era fatto pesante, e gli raccontò una delle storie che preferiva ascoltare da bambina. Seduta sul divano, accanto al caminetto, si sentiva di nuovo nel suo elemento.

Dalila e Rita si occupavano delle galline mentre la domestica, appena tornata dal mercato, si era chiusa in cucina.

Mauro leggeva, accanto alla finestra, uno dei vecchi libri del dottore.

Tutti sembravano rilassati, ma loro calma venne turbata dal campanello. Era passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva suonato alla porta principale, quando i soldati le avevano portato via il marito.

Si alzò controvoglia e sussurrò al figlio di andare in cucina e non uscire senza essere chiamato. Aprì la porta mentre Mauro saliva le scale. Forse erano venuti a prendere lui.

"Buon giorno, signora Ferrari.", disse uno dei due ufficiali. Non avevano nemmeno chiesto il permesso e l'avevano spinta di lato contro la porta per entrare. Marta la chiuse per tenere fuori il gelo e li seguì in soggiorno.

"Sono io."

"Stiamo cercando un fuggitivo. Sappiamo che ne nascondete uno. O meglio, almeno uno."

"Chi sarebbe questo fuggitivo?", chiese mentre i muscoli cominciavano a irrigidirsi per la paura. "È pericoloso? Sa... Tenente? Noi qui siamo tutte donne e bambini e non vorrei che ci arrecasse problemi..."

"Sono un Capitano, signora. In ogni caso, non è pericoloso. Non per voi, ecco..."

Mentre il capitano parlava, l'altro soldato rimaneva in silenzio e osservava la casa. Aveva un'uniforme verde scuro, come quella dei tedeschi, e senza gradi. Era biondo come uno di loro e gli occhi verdi non facevano che confermare il sospetto della donna. Un fascista e uno straniero in casa, pensò.

"Mi sembrate stanco, volete qualcosa da bere?", gli chiese gentilmente. Se avessero sospettato che la donna volesse che se ne andassero il prima possibile, avrebbero perquisito tutta la casa. Accoglierli come fossero ospiti era la cosa migliore, in quel momento.

"No, grazie. Sono in servizio. Non so il soldato Hoffman, ma non si capisce nulla quando parla, quindi non ho intenzione di chiederglielo."

"Dicevate, il fuggitivo..."

In quel momento, Dalila entrò in soggiorno.

"Scusate, disturbo?"

"No, no, figliola. I capitani ci stavano parlando di un fuggitivo..."

"Un fuggitivo?", ripeté la ragazza.

"Sì, anche pericoloso..."

"Pericoloso?"

"Sì, ma ora porta in camera tuo fratello. Ha sporcato la maglia.", si girò verso i soldati. "Sa come sono i bambini, no? Non possono stare attenti un attimo: sempre pronti a macchiare i vestiti..."

"Non ci prenda in giro, signora. Sappiamo che voi nascondete Dalila Wolff!", urlò il capitano esasperato da quel siparietto.

Le donne si irrigidirono. Si guardarono, gli occhi sgranati.

"Chi?", balbettò Marta, tentando un'ultima volta.

"La ragazza che avete davanti."

Il soldato tirò fuori una foto della ragazza in compagnia di Rita e Samuele.

"Questa è mia figlia!"

"La ragazzina con le trecce. Quella affianco è una sporca ebrea. Lei lo sapeva, vero?"

"No.", disse Dalila. La sua voce era ferma. Ciò che l'aspettava non le faceva più tanta paura, visto che ormai era inevitabile. Ciò che la spaventava era poter far del male alle persone che più l'avevano aiutata. "Non sanno niente. Ho mentito."

Il soldato tedesco le si avvicinò e le ammanettò i polsi.

"Scusi signorina, sono costretto. Potrebbe fuggire, e non sarebbe piacevole per nessuno.", le disse in tedesco. La sua amata lingua! Dopo tanto tempo, le prime parole che sentiva e che poteva capire senza doverle tradurre erano quelle...

"Non si preoccupi. Non credo che faccia molta differenza."

"Cosa stanno blaterando?", chiese il capitano a Marta, di nuovo stizzito.

"Non lo so, non parlo tedesco...", cominciò lei.

"Risponda alla mia domanda, piuttosto."

"Dalila è la cugina..."

"Non mi interessa chi è. O meglio, lo so già. Voglio sapere se eravate al corrente di quale sangue scorresse nelle sue vene."

"Capitano, le ho già detto che ho mentito a tutti. Non potevano saperlo, visto che mio padre era un Austriaco puro. Lei sa già che solo la nonna materna era..."

"Non mi interessa il tuo albero genealogico. Se i miei superiori dicono che sei un'ebrea, come tale devi essere trattata. Come mai non indossi la stella?"

"Tutti quelli che la indossavano sono spariti nel nulla. E poi, le ho già detto che non sono ebrea."

"Rinneghi la tua famiglia?"

"No. Non rinnego il mio sangue.", raddrizzò la schiena fiera. "Mia nonna aveva sangue ebreo, e io sono orgogliosa di ogni singolo gene ereditato da lei."

"Ha confessato, possiamo andare.", disse il soldato lentamente. Il suo forte accento aveva reso quasi incomprensibili anche quelle poche parole. Strattonò leggermente la ragazza, sempre con delicatezza, e la girò verso la porta.

"Marta, non cercarmi più. Non abbiamo altro da dirci. So che tu non mi perdonerai mai per averti mentito e che..."

"No!", Rita si avventò sul soldato che la spinse via meccanicamente facendola cadere sul tappeto.

"Scusi, signorina. Non doveva avventarsi così: è pericoloso."

Le porse la mano che la ragazza, in lacrime, guardò con sdegno.

"Prima mi spingete e poi volete aiutarmi ad alzarmi? Lasciate andare Dalila, piuttosto."

"Rita, basta."

Anche Samuele scoppiò a piangere uscendo dalla cucina. Avevano ottenuto ciò che tutti volevano evitare.

"Non andare, zia, non andare."

"Posso?", chiese al soldato che le lasciò il braccio.

"Sam, ascoltami. Devi essere forte, ti ricordi? Ne abbiamo parlato, una volta..."

"Quando hanno portato via papà. Adesso stanno portando via anche te... Come faccio ad essere forte da solo? Mi porteranno via tutti!"

"Oh, no. Io sono stata cattiva e per questo non posso più stare qui."

"Rita dice che non è vero!"

"Rita dice un sacco di sciocchezze. Dimenticami, e vedrai che riuscirai ad essere forte. Vi ho nascosto chi sono, e ora siete tutti nei guai. È meglio che io me ne vada..."

"Dalila...", Rita la guardò con gli occhi sgranati.

Il cuore di Marta, che aveva iniziato a battere furiosamente quando i soldati erano entrati, rallentò. Ormai non c'era più nulla da fare, se anche Dalila si era arresa.

"Rita, Samuele, smettetela. La traditrice farà la fine che merita."

Guardò la ragazza negli occhi, cercando di farle capire come si sentisse in quel momento. I suoi occhi stavano chiedendo perdono, doveva pensare ai propri figli, lei...

Dalila ammiccò con l'occhio sinistro, nascosto alla vista dei soldati. Il groppo nella gola di Marta si fece ancora più soffocante.

Non appena furono usciti, Rita sussurrò, ancora scossa: "E adesso cosa facciamo?"

"Adesso vai di sopra a chiamare Mauro."


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