Lavoro

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17 gennaio 1941

In inverno la giornata era più corta. Ci si alzava prima e si andava a dormire prima per potersi poi di nuovo alzare all'alba e per sentire di meno il freddo.

Mauro era rientrato tardi, la sera prima, e le ragazze erano già addormentate da un po'. Non volendole svegliare aveva lasciato la scatola con i dolci che aveva comperato sul tavolino accanto al divano e si era addormentato anche lui.

Quella mattina le ragazze non lo buttarono giù dal divano. Quando aveva sentito l'aria fredda carezzargli il collo si era stretto nelle coperte, ma nessuna mano furtiva aveva provato a scoprirlo.

Quando decise di svegliarsi del tutto si alzò e si diresse verso la stanza da bagno dove si lavò in fretta e indossò dei vestiti puliti lasciando quelli sporchi sulla pila dei panni da lavare.

Entrò in cucina con una scatola bianca in mano e, non vedendo le ragazze, la lasciò sul tavolo. Tornò in soggiorno e prese un libro da uno scaffale. Lo lesse per qualche minuto finché non sentì le voci delle ragazze che entravano in cucina.

"Lascialo stare, è molto stanco...", stava dicendo Dalila ridendo.

"Se va in giro tutto il giorno ci credo che poi è stanco."

"Rita, se vuoi proprio guardarlo vai in salotto. Se sta ancora dormendo non si accorgerà di nulla."

"Ma che stai dicendo?"

"Cos'è quella scatola?"

"Non lo so..."

Seguirono alcuni momenti di silenzio nei quali, secondo le intuizioni del ragazzo, aprirono la scatola e si meravigliarono.

"Ma sono pasticcini. Pasticcini veri!"

"Chissà quanto gli sono venuti a costare? Che imprudente. Non si dovrebbero spendere i soldi così..."

"Rita, sono due. Uno per te e uno per me."

"Credi davvero?"

"Secondo te ne avrebbe davvero comprato uno solo per me?"

"Non so... Non gli vado molto a genio..."

"Questo lo credi tu..."

Mauro sorrise ed entrò in cucina senza fare rumore.

"Vi sarei grato se li mangiaste in fretta e buttaste la scatola. E se non diceste a nessuno di questo nostro piccolo lusso."

Dalila afferrò il suo dolce e lo mangiò in due bocconi, mentre Rita spezzò il suo come meglio poteva e ne offrì metà a Mauro. Dalila uscì dalla cucina, come per caso.

"Lo stai divorando con gli occhi.", la squadrò Mauro.

"Può darsi. Ma non posso mangiarlo mentre mi guardi così", gli rispose Rita.

Il ragazzo accettò il mezzo pasticcino e lo mangiarono insieme. Poi la ragazza prese la scatola, svuotò le briciole in un secchio dove raccoglievano gli avanzi per le galline e buttò la scatola nella stufa un momento prima che la domestica entrasse nella stanza.


Erano tutti seduti intorno all'enorme tavolo della cucina. Il pane fumante era quasi finito mentre non c'era più traccia del latte. I bambini, seduti scomposti, si stuzzicavano a vicenda e ridevano complici.

"Cosa avete intenzione di fare oggi?", chiese Marta all'improvviso.

"Oggi insegneremo ai più piccoli a fare i conti, ai più grandi a filare la maglia.", rispose Rita sorridendo. Aveva la stessa vocazione del padre per l'insegnamento e sapeva che quello era il modo per rendersi il più utile possibile.

"Io andrò a cercare un lavoro.", esclamò Dalila.

Tutti si girarono a guardarla, ad eccezione di Mauro che continuò a mangiare tranquillo mentre chiedeva: "Che genere di lavoro?"

"Quello che riesco a trovare. Nelle fabbriche c'è sempre bisogno di braccia."

"Non ti consiglio quei posti..."

"I prezzi stanno aumentando. Abbiamo bisogno di denaro e..."

"Dalila, una fabbrica non è il posto adatto per una signorina.", li interruppe Marta.

"So leggere e scrivere, magari riuscirò..."

"Non a Castello. Se vuoi un buon lavoro dovresti andare tutte le mattine in città."

"Abbiamo bisogno di soldi, Marta. Almeno fino a primavera. Trovare da mangiare è sempre più difficile e se non fosse per Mauro soffriremmo tutti la fame. Non so fino a quando potremo continuare così. Potrebbero arruolarlo e allora cosa potremmo fare?"

"Aspetta che arrivi la lettera di leva, prima di chiuderti in fabbrica.", le consigliò lui.

"Io ho già deciso."

"Capisco.", sospirò Marta. "Però, se non riesci ad ambientarti tornerai subito a casa. Intesi?"

"Intesi."

"E andrai nella fabbrica tessile. La paga è minore, ma dove lavoriamo noi c'è troppa polvere e la maggior parte delle donne tossisce tutto il tempo."

"Va bene.", si alzò e cominciò a sparecchiare mentre i bambini, stranamente zitti, guardavano le sue mani ferme e il sorriso sollevato sul suo volto.

"Anche io voglio lavorare in fabbrica.", sussurrò Rita dopo un minuto di silenzio.

"Non incominciare...", la sgridò Dalila per paura che tentassero di nuovo a convincerla a desistere, dopo aver notato un nervo flettersi sul viso di Marta.

"Ma io..."

"Sei più utile qui. E poi credevo ti piacesse insegnare..."

"Non resisteresti due giorni in una fabbrica e a sedici anni non ti farebbero mai fare la maestrina.", le disse Mauro freddo.

"Ho quasi diciassette anni, per tua informazione. E cosa ti dice che non resisterei?", alzò la voce che divenne anche un po' più acuta.

"Non resisteresti nemmeno mezza giornata e per pranzo saresti già a casa in lacrime. So come sono quei posti."

"Però per Dalila non hai fatto storie."

"Tu non sei Dalila, dannazione!"

"Lei è in gamba, hai ragione. Lei sa fare tutto e può gestire qualsiasi situazione. Io invece sono solo una bambina viziata che ha bisogno di attenzioni. È quello che volevi dire, giusto?"

"No, Rita..."

"Sì, invece. Sai che ti dico. Hai ragione. Ora scusatemi, vado ad occuparmi del bucato.", si alzò e sfrecciò fuori dalla cucina.

Mauro si coprì il viso con una mano mentre Dalila gli stringeva una spalla, e quella fu l'ultima cosa che vide la ragazza prima di scoppiare in lacrime.

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