La realtà

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A forza di dire negare la realtà,

si finisce per credere che sia stata tutta una bugia.


Svegliarsi con la consapevolezza di non poter più fingere è la cosa più difficile da fare. Probabilmente perché, quando fingi per così tanto tempo, ti illudi che le cose possano davvero scomparire per tutti, ma non è così.

Non lo è mai.

Mi vesto con un paio di pantaloni neri e un'anonima maglietta della medesima tonalità per andare a portare Emma a pranzo. Ieri le ho promesso che l'avrei portata in moto al McDonald's per festeggiare ancora il suo compleanno.

Esco dalla mia stanza e trovo Celeste e Sveva in cucina che parlano animatamente dell'imminente viaggio che faremo tutti e tre come una famigliola felice: Sveva vuole portarci a Milano per tre giorni.

"Vado a pranzo con Emma" dico affacciandomi alla porta prima di andare verso l'uscita.

"Ma ti sei appena svegliato!" protesta Celeste.

"Sono in ritardo, ci vediamo dopo"

Esco di scena così. Senza troppe battute da recitare.

Vorrei solo che questa situazione che ho creato con Celeste, dove lei mi cerca e io cerco di allontanarla nonostante abbia capito che non è una delle mie opzioni, finisse in qualche modo. Vorrei solo che questa dannata tensione che sento all'altezza dello sterno si plachi.

Mi rigiro le chiavi della moto tra le dita e, senza accorgermi, sono in garage. Salgo in sella e faccio un respiro profondo prima di avviare il motore, poi esco dalle quattro mura ormai familiari del box e oltrepasso il cancello per raggiungere la mia ragazza.

Il viaggio è quello di sempre, ma mi sembra comunque che qualcosa sia diverso. Probabilmente c'entra il fatto che mi sono svegliato male, ma preferisco non pensarci. Parcheggio di fronte al cancello della casa circondata dalla natura dove vive Emma e aspetto a motore spento.

Quando la vedo arrivare con i capelli rossi lasciati sciolti lungo la schiena, ma incorniciati da una bandana, vestita solo di un paio di pantaloni della tuta neri e un top dello stesso colore, nel mio stomaco si libera uno sciame di farfalle.

"Come stai, bellissima?" le chiedo porgendole il casco.

"Credo che dormirò per tre giorni di fila" risponde lei sopprimendo uno sbadiglio sul nascere.

"Non essere così drammatica"

"Sono sicura che anche tu eri così, la prima volta che hai bevuto." Sentenzia lei puntandomi un dito contro il petto.

"Oh, io ero anche peggio, ma ci si abitua." Accendo il motore mentre lei sale dietro di me e avvolge i miei fianchi nelle sue cosce. "Ma mio padre aveva questi kit di pronto-dopo sbronza e mi faceva sempre una predica lunga una settimana, delle serie che lo trovavo in cucina che mi sgridava anche se non ci eravamo ancora salutati quella mattina. Lui continuava a riprendermi per una settimana intera e basta, a volte lo sentivo parlare anche nel sonno. Però era quasi sempre ironico e so che lo faceva perché mi voleva bene." Mi viene da ridere e da piangere nello stesso momento. Sento come se il mio corpo fosse una lastra di vetro crepata. "Non riesco ancora a credere che lui non ci sia più, ma lo sto iniziando ad accettare."

Non dico altro, mi bastano le dita di Emma che si aggrappano a me, abbracciandomi. Le stampo un bacio sul dorso della mano e parto verso la nostra destinazione.

Prendiamo un sacco di cibo d'asporto perché, a distanza di quasi quattro mesi, abbiamo pensato di mangiare a Monte Ciocci. Emma tiene tra le mani il sacchetto con il pranzo mentre io faccio strada verso il ciliegio sotto il quale abbiamo passato il nostro primo appuntamento.

Io che sento i tuoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora