Notti bianche

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Non ho chiesto il permesso a nessuno, quindi non c'è pericolo che mi venga detto di no.

Sono passate poche ore da quando ho parlato con Evan e ora sto per prendere l'aereo che mi riporterà in Portogallo.

Il gate è affollato, vedo decine e decine di teste in fila l'una dietro l'altra e mi chiedo dove andranno tutte queste persone. Mi domando che cosa stia facendo Celeste adesso, magari sta leggendo il mio biglietto.

"Ho delle questioni in sospeso a casa, devo scappare. Scusa, di' ad Emma che avrei voluto avvisarla ma non ne ho nemmeno avuto il tempo. Grazie priminha. A presto. Tornerò, promesso." Le ho scritto. Il pezzetto di carta è stato abbandonato sulla sua scrivania, per tenerlo fermo ho utilizzato una delle sue spille.

Capirà che era più importante di qualsiasi altra cosa. Ne sono certo.

Faccio il passo che mi porta ufficialmente sull'aereo e mi sento già più vicino a casa.


Il cancello della villa è chiuso a chiave, ma io so il codice, quindi aprirlo non è nulla di complicato. Mentre attraverso il viale mi passano nella mente tutti i ricordi felici di cui è stato sfondo: interi pomeriggi a piantare fiori con mamma, papà che mi insegnava a guidare, Elliot che mi ricorreva perché non gli davo retta, le sfide che facevo con i miei amici per veder chi correva più veloce. Mi vedo crescere lungo questo viale e la stretta che mi prende il cuore è paragonabile alla sensazione di una pallottola che ti trapassa il petto.

Tengo lo sguardo alto e mi fermo solo quando sono di fronte alla porta di quella che da sempre è casa mia. La apro lentamente e quello che vedo mi mette i brividi, non perché mi faccia paura, ma perché mi mette così tanta nostalgia e rievoca così tanti ricordi da farmi venire la pelle d'oca. Il divano è coperto da lenzuoli bianchi, come il corrimano di marmo delle grandi scale che portano al piano di sopra.

Mi aggiro in silenzio nella grande abitazione e mi sento quasi un estraneo. Così, vuota, questa non è casa mia.

Entro nel mio garage e mi si ferma il cuore vedendo che non hanno portato via la macchina che utilizzavo per le corse. Apro la portiera della Mustang GT e stringo il volante con entrambe le mani. Inserisco la chiave nel quadro e accendo il motore.

Andare in macchina non mi piace tanto quanto andare in moto, ma non ci penso due volte prima di fare retromarcia e percorrere il viale nella direzione opposta a quella che seguivo solo pochi minuti fa.


Riesco ad addormentarmi solo quando il sole inizia a sorgere. Chiudo gli occhi e mi abbandono a un buio che non è completo.

Nei miei sogni non accade nulla, oppure non ricordo. Forse nemmeno a loro sono rimaste forze al momento.

Mi fa riaprire gli occhi il suono del mio cellulare che vibra. Tasto il comodino in cerca del telefono e lo accosto all'orecchio.

"Dove sei?" è la sua voce. La voce della mia Rossa.

"Emma..."

"Dove sei?"

"Io...ho dovuto..."

"Dove cazzo sei?" stavolta alza la voce.

"A casa" non mi dà il tempo di spiegare: chiude la conversazione e io non richiamo. Ora è arrabbiata, è meglio che le dia del tempo per sbollire. Capirà che era una questione non rimandabile.


Giro per le strade e ogni tanto sento i ragazzini gridare che Manuel Santos è tornato. Per alcuni di loro ero come un mito perché andavo contro Evan e lui i bambini della città li trattava malissimo.

Io che sento i tuoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora