Io non ho paura

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Avrei voluto urlare, ribellarmi, ma il mio corpo era troppo pesante.

Non riuscivo a capacitarmi di essere su una macchina che mi stava portando via da tutto quello che conoscevo, che mi stava portando via dalla mia realtà.

"Ti piacerà, Manuel. Tua zia Sveva mi è sembrata una brava madre. Conoscerai finalmente meglio Celeste. Non ne sei felice?"

La verità? No. Non ne sono felice. Proprio per niente.

La signora Bacci non può capire, o forse semplicemente non vuole.

Zia Sveva e mio padre hanno perso il loro fratello gemello, zio Gabriel, in una corsa.

Lui era sempre stato appassionato di moto, esattamente come mio padre. Esattamente come me. Era arrivato a correre nei campionati europei, ma in una gara era uscito di strada rompendosi l'osso del collo.

Morì in Germania nel 2017, a soli trentasette anni.

Io ne avevo quattordici e il ricordo più brutto che ho di quel periodo è mio padre che smette di mangiare, di ridere e di guidare la sua MTT 420 RR.

Quella moto gli era costata più di duecentomila euro, ma ne era valsa la pena. Avrei sempre ricordato il giorno in cui l'aveva portata a casa.

Era maggio, l'arietta fresca di Amadora, in Portogallo, casa mia, entrava in casa dalla finestra aperta e la luce filtrava attraverso le tende azzurre. Avevo sentito il rumore di un motore diverso da quello che mi annunciava l'arrivo di papà a casa, mi ero affacciato e allora l'avevo visto. Con in testa il suo casco, la visiera abbassata e la giacca addosso. In sella a una delle moto più veloci al mondo.

Avevo sgranato gli occhi e lui aveva dato gas per farmi sentire quel tuono. Rideva del mio stupore, lo sentivo anche da lontano.

"Manuel! Hai visto che bellezza?" mi aveva chiesto eccitato.

Io non ero riuscito a trattenermi: ero schizzato fuori di casa e mi ero accostato a quella meraviglia su due ruote osservandola in ogni minimo dettaglio.

Mi aveva promesso che l'avrebbe comprata e adesso era lì, di fronte a me. E io non osavo toccarla per non violare quell'oggetto quasi sacro. Quell'oggetto che per me era una leggenda che diventava reale. L'oggetto che avevo desiderato per mesi.

"Ti piace, Manuel?" mi aveva chiesto spegnendo il motore e sfilandosi il casco.

Manuel.

Aveva sempre voluto che sapessi perché mi aveva chiamato così. Era per Manuel Poggiali, due volte campione ai motomondiali e rigorosamente portoghese.

Lui era il mito di mio padre.

"Siamo quasi arrivati. Tra una ventina di minuti saremo a Colle Veio, vicino a Roma." Mi dice a questo punto la signora Bacci facendomi tornare alla realtà.

Roma .

Perché zia Sveva avesse deciso di sposare un italiano e trasferirsi nella sua città, per me, rimaneva un mistero.

Dicono che l'amore faccia fare pazzie, ma io non lo posso sapere. Non mi sono mai innamorato.

La storia con mia madre mi ha insegnato che l'amore è una transazione. Che gli umani sono progettati per il desiderio, non per l'amore. Lei me l'ha dimostrato. E mi ha anche fatto appurare che l'amore è qualcosa che si può spegnere da un momento all'altro. Come se ci fosse un interruttore.

Ed è stata capace di dimostrarlo abbandonando proprio me.

Mia zia aveva cresciuto sua figlia, di due anni più piccola di me e ora quattordicenne, in Italia. Lontana dalla sua famiglia. Avevo incontrato così poche volte Sveva che mi era difficile ricordarla. L'unica cosa di cui ero certo era che aveva gli occhi azzurri, come papà.

Io che sento i tuoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora