20J - Sembri costipato

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Il Calile Hotel dista all'incirca un quarto d'ora da casa, ma partiamo comunque per le sette perché nessuno arriva mai puntuale a questo genere di eventi e la cena non avverrà prima delle otto. In realtà, chiamarla cena è un parolone, di solito vi sono banchetti di buffet destinati agli invitati che si consumano durante la serata.

Questo evento è più una raccolta fondi per finanziare Medici senza frontiere, un'organizzazione umanitaria focalizzata sul fornire soccorso sanitario in tutti quei luoghi in cui non è garantito. Proietteranno qualche filmato, gireranno per la sala accertandosi che tutto procede bene e a fine serata faranno un discorso per ringraziarci tutti. Di base, abbiamo già donato tutti, quest'occasione è solo una formalità per ringraziarci.

A me non dispiace donare, anzi, la beneficenza è una di quelle attività per cui adoro spendere soldi. So che sono per una buona causa e sono lieto di poter contribuire un po'. È risaputo che i rugbisti non guadagnano tanto quanto certi colleghi, ma stiamo bene, molto bene. Lo dimostrano la casa che ho comprato, quella che ho regalato alla mia famiglia, l'auto che ho preso a mia sorella per i suoi sedici anni e le tante altre cose che facciamo. Tuttavia, non smetto mai di ricordare da dove vengo e questo mi porta a compiere determinate scelte. Ad esempio, non ci penso due volte ad acquistare qualcosa per la mia famiglia, ma per me? Il contrario. Lo dimostra il fatto di aver scelto di pagare la mia auto a rate quando potevo direttamente consegnare i contanti in concessionaria. O di aver parlato con mamma e papà prima di prendere casa. È solo che a volte prevale la parte precedente della mia vita, torno a essere chi ero una volta e... mi stupisco di tutto quello che posseggo. All'inizio ero più consumista, c'era la novità di poter ottenere tutto quello che desideravo in un batter d'occhio, ma poi le cose si raffreddano e ti accorgi davvero di dove ti trovi e come ci sei arrivato. Quindi sì, acquisto in un baleno qualcosa per i miei cari, ma ci rifletto due volte quando si tratta di me.

Questo non avviene sempre, bisogna ammetterlo, però cerco di condurre una vita più reale possibile. Ho la mia casa, la mia macchina, la mia famiglia e durante l'estate o la pausa invernale mi concedo un viaggetto. Fine. Non faccio acquisti compulsivi o sperpero denaro solo perché posso. Non è così che sono cresciuto e lo rammento giorno dopo giorno.

«Quanto manca?» domanda Calista, seduta al mio fianco. A volte dimentico che non è di qui e non conosce la città.

«Cinque minuti, più o meno. Ci saranno paparazzi e ti faranno domande, limitati a sorridere ma senza rispondere.»

«Inizio a essere un po' agitata» confessa, stringendo ripetutamente le mani in piccoli pugni. Non indossa gioielli a parte il finto anello di fidanzamento.

Rilascio un sospiro. Mentirei se dicessi che non la capisco; la prima volta che ho messo piede su un tappeto rosso me la sono quasi fatta addosso. Avevo ventun anni, ero un novellino, pronto a essere sbranato dalla stampa, da un mondo che non conoscevo minimamente. E non avevo nessuno su cui contare. «Andrà... bene» mi costringo a dire. Non me la cavo con le consolazioni, le dimostrazioni d'affetto o qualsiasi altra cosa che coinvolga i sentimenti; peccato, però, che sia la mia fidanzata agli occhi tutti e che figura ci farei se non la trattassi di conseguenza?

«Sembri costipato.» Sbuffa, massaggiandosi le cosce. «Non devi consolarmi o altro, tranquillo, ma volevo esternare come mi sento perché voglio che tu sappia cosa penso senza essere colto alla sprovvista.»

Arriviamo davanti all'entrata dell'hotel dove ci sono forse già un centinaio di giornalisti pronti ad assaltarci. Grazie a Dio ho optato per dei finestrini oscurati. «Adesso scendiamo, camminiamo lungo il tappeto, sorridiamo ed entriamo. Fine. Niente di più» asserisco. «E magari fai qualche saluto, altrimenti penseranno che sei un'idiota» aggiungo l'ultima frase un minuto prima che il valletto bussi al finestrino. Ricordo il mio primo red carpet ed è stato... imbarazzante.

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