41J - Un dannato procione

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«L'ho uccisa, l'ho uccisa.» Calista singhiozza, la mia maglia stretta nei pugni, il viso pressato contro il mio petto.

Non commento, l'attiro a me, inglobandola tra le mie braccia.

La sensazione che provo all'altezza del petto mentre la sento tremare da cima a fondo, come se si stesse liberando di un tormento, non mi piace. Una donna come lei non può soffrire in questo modo. La rabbia inizia ad affiorare, ma mi costringo a trattenermi.

Ha detto che ha ucciso sua madre. Calista Spencer. La ragazza spensierata, allegra, irritante, sensuale, rompiscatole. Faccio fatica a credere una cosa del genere, eppure eccola qui, devastata dal senso di colpa, sconvolta. E non so ancora il perché. Com'è arrivata a questo punto? Perché, da un momento all'altro, tira fuori una storia che è chiaro non volesse raccontarmi? C'è un tassello che mi manca e devo scoprirlo, ma prima devo occuparmi di calmarla.

La sollevo, stringendomi le sue gambe attorno alla vita. Sento le sue lacrime bagnarmi il collo mentre la porto in camera e la faccio stendere sul letto. Divento ancora più furioso. Chi l'ha ridotta così? Cosa cazzo è successo per farla diventare l'ombra della Calista che conosco?

«Non te ne andare» bisbiglia, la voce arrochita.

«Non ti lascio.» Mi accomodo dietro di lei, le avvolgo un braccio attorno alla vita. Relazione finta o meno, Calista sta soffrendo, è sconvolta e non permetterò che le accada altro. Devo sapere come poter aggiustare la cosa. Meglio averla come spina nel fianco che singhiozzante e indifesa tra le braccia.

Sento zampettare, poi la porta viene aperta e il muso di Kinder fa capolino. Non abbaia, non fiata, si limita a saltare sul letto e prendere posto ai piedi di Calista, quasi come se fosse abituata. Dovrò chiederle pure di questo più avanti, al momento ho bisogno di fare chiarezza su altro.

«Ascoltami.» Sospiro, nella speranza di essere il più delicato possibile. La verità è che dentro fremo di rabbia e tenerla a bada diventa più complesso ogni minuto che passa. Ma devo farlo. Per lei. «Devi parlarmi, altrimenti non posso aiutarti, Calista.»

Lei rilascia un altro singhiozzo e si volta, sprofondando il viso nell'incavo del mio collo già umido a causa delle sue precedenti lacrime.

«Se non mi parli, non so come aggiustare le cose, Lock.»

«Non puoi. Nessuno può» piange.

«Tu prova a dirmelo. Hai parlato di tua madre, hai detto...»

«L'ho uccisa» ripete. Non è più una cantilena, ma un'affermazione vera e propria.

«Cerca di elaborare.» Le sistemo l'orlo della maglia che indossa, coprendole la pelle esposta al fresco. Un tuono più forte la fa sobbalzare e così anche Kinder. Il pitbull si fa più vicino ai nostri piedi e poi sposta la testa sulla mia caviglia, una zampa sul polpaccio di Calista.

«È sempre stata aggressiva nei miei confronti e mi picchiava spesso, specie quando papà era via per settimane. Quando lui tornava, invece, si comportava bene. Aveva dei problemi, era bipolare, l'ho scoperto dopo anni. Cercavo sempre di tenere più in ordine possibile, di mangiare tutto quello che preparava e di non arrivare mai in ritardo quando mi chiamava per qualcosa.» Tira su col naso. «Provava astio nei miei confronti e all'inizio non ne comprendevo il motivo, poi ho capito. Era gelosa di me, del rapporto che avevo con papà perché non voleva dividerlo.»

«Allora forse non avrebbe dovuto fare un figlio» sbotto. «Senza offesa.» Continuo ad accarezzarle il fianco, non sapendo nemmeno quando ho iniziato.

«Una mattina... avevo sedici anni allora, abbiamo litigato. Eravamo nello studio di papà. Stavo facendo i compiti per lunedì e lei è entrata furiosa, urlandomi contro che non dovevo mettere piede nello studio di suo marito. Ma papà mi aveva sempre detto che potevo, visto che non lasciavo mai in disordine. Lui sarebbe rientrato il giorno dopo quindi lei aveva il via libera per inveirmi contro» racconta. La vedo giocherellare con il laccio della felpa che indosso, ma è assente, come se fosse stata risucchiata dal brutto ricordo.

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora