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“Proie', è meglio se non entri là dentro. Dammi retta che fa veramente schifo”.

Sonia ignorò il consiglio del collega più anziano, anche se lui precisava esperto, ed entrò nella villetta a schiera alla periferia del paese. Il piccolo giardino antistante alla casa era ben curato, un tavolo e quattro sedie in tek erano pronte per le prime giornate di sole. Per le quali, tuttavia, c'era sicuramente da aspettare ancora, vista la temperatura polare di quei giorni. La porta d’ingresso dava su un soggiorno con un paio di divani messi ad angolo, un tavolo e un’ampia console etnica sulla quale erano esposte diverse fotografie di famiglia. Il soggiorno si apriva su una scala che portava al piano superiore.

Sonia salì i gradini in peperino, abbastanza larghi da starci in due, e arrivando al primo piano si accorse che era nel posto sbagliato. Le due stanze da letto e lo studio erano deserti nonostante che nella casa ci fossero almeno una decina di persone. Intuì, dunque, che dal soggiorno posto al piano terra si potesse accedere a un qualche altro locale. Scese le scale e dal soggiorno entrò in un’ampia cucina e sentì le voci provenire da dietro una porta semichiusa. Dava su delle scale in discesa. Ne scese i primi gradini e il tanfo che la accolse le provocò un conato violento che represse a fatica. Si appoggiò al corrimano di ferro battuto e si portò un fazzoletto alla bocca. Solo allora vide che tutti i presenti avevano fatto lo stesso. L'ambiente, non piccolo, che in quel momento sovrastava essendo sulla scala di accesso, era una taverna con camino. Qualche stampa alle pareti, un paio di quadri dall'aspetto elegante, nell'angolo un bel televisore e l'immancabile collezione di videocassette e DVD. Era qui che i proprietari passavano la sera.

I colleghi erano raccolti attorno a un corpo, l'origine del fetore. Una giovane donna, seminuda, con la gola aperta da parte a parte e la testa parzialmente staccata dal corpo. Le mani legate sulla testa e le gambe tenute strette da diversi giri di scotch da pacchi. Il pavimento, che fino a quel momento aveva considerato in cotto, era in realtà letteralmente allagato dal sangue fuoriuscito dal corpo della ragazza. Le monocotture avevano preso un’uniforme tonalità bruna. La vista di tutto quel sangue, unitamente al fatto che nel locale non c'erano finestre e che non aveva fatto colazione, le provocò un giramento di testa che la fece appoggiare al corrimano con entrambe le mani. Decise allora di sedersi sugli scalini. Mentre si sedeva, si girò verso di lei quello stronzo del suo capo.

“Vai su Proietti, che non è uno spettacolo per  ragazzine. Ci mancherebbe poi che mi svieni, mi cadi dalle scale e mi vai in infortunio!”. Il commissario Andreozzi aveva il vizio di considerare tutti gli avvenimenti in relazione esclusiva con il suo ego. L'uso spropositato del pronome personale aveva poi il potere di farla incazzare ferocemente. In compenso non era maschilista, non la discriminava perché donna e anzi sembrava addirittura ascoltarla, talvolta. Senza ovviamente riconoscerle un minimo di visibilità quando faceva qualcosa di buono. Era lo Stronzo. Ma era stronzo con tutti.

Risalì le scale più per togliersi quello spettacolo di fronte che per obbedire allo stronzo. Ne approfittò per uscire nel giardino, sedersi su una delle sedie in tek e chiacchierare con De Santis, il collega anziano. In un’altra situazione avrebbe potuto addirittura essere piacevole.

“Te lo avevo detto di non scendere. Cazzo non ho mai visto tutto quel sangue” le disse con il tono di chi impartisce una lezione.

“Chi è?” chiese Sonia.

“Non la abbiamo ancora identificata ufficialmente, addosso non aveva documenti” disse ridendo sotto i baffi per il tentativo di essere spiritoso “ma a me sembra Stefania, la figlia piccola dei Rogai” aggiunse più seriamente.

“Piccola quanto?”. “Se non ricordo male dovrebbe avere diciotto anni o poco più, andava a scuola con una mia nipote”.

De Santis era originario del paese ed era prezioso per ricostruire le relazioni tra gli abitanti, fossero di parentela, di amicizia o di affari.

“E i genitori dove sono?”.

“In ospedale ad Albano, alle monachelle. Hanno trovato la figlia stamattina. La madre s'è sentita male e il padre appresso. Considera che loro sono rientrati ieri sera tardi. Sono andati direttamente a dormire senza andare di sotto. Appena svegliati, dopo colazione, la madre è scesa di sotto per mandare una lavatrice e si è trovata davanti a quello spettacolo. Ci credo che si sia sentita male”.

“Cazzo” disse Sonia.

Non era abituata al turpiloquio dei colleghi ma aveva appena realizzato che i genitori avevano tranquillamente dormito due piani più su del corpo dissanguato della figlia.

“Era chiacchierata?” chiese Sonia, facendo un gesto con il mento per riferirsi alla ragazza.

“Non mi sembra. Ma stasera, se c'è qualcosa, salta subito fuori” rispose De Santis. “'sto cazzo di paese non ha segreti. Per nessuno”. 

Sonia e le veritàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora