I genitori di Stefania erano ancora ricoverati e,quando Sonia e il collega si presentarono in ospedale, i medici sconsigliarono un incontro. Soprattutto il padre presentava un quadro clinico poco rassicurante. Cardiopatico, colesterolo altissimo, una circolazione pregiudicata da anni di alimentazione da bar e dalla scarsa attività fisica. Aveva avuto una leggera ischemia ed era sotto osservazione. La madre invece era sedata. Dal punto di vista meramente clinico non aveva nulla ma piangeva in continuazione e aveva provato a farsi male col coltello di plastica del pasto che le avevano portato la sera prima. Solo un graffio, ma tutto consigliava di tenerla sotto stretta sorveglianza medica. Non potevano escludere che un secondo tentativo di autolesionismo non avesse migliore fortuna del primo.
Così Sonia e De Santis decisero di iniziare la raccolta informazioni dai vicini di casa. La villetta a schiera dei Rogai era parte di un piccolo complesso residenziale al di fuori del centro abitato. Due file parallele di villette affacciate tra loro, un vialetto che costeggiava dei piccoli giardini di proprietà sul fronte delle case. Sul retro una scala portava direttamente al primo piano, dando l'opportunità di creare due unità abitative indipendenti dividendo la villetta. In realtà il giro informativo era abbastanza semplice. Trovare i vicini, fare le solite domande sulla ragazza e sulla famiglia, chiedere se avessero notato qualcosa che potesse essere utile alle indagini. Lasciare i propri riferimenti, far sentire alla cittadinanza che le forze dell'ordine proteggono la popolazione. Infondere fiducia. Gli esperti lo chiamano marketing istituzionale.
Sonia e De Santis decisero di iniziare dalle due villette confinanti con quella dei Rogai. Le due abitazioni, una a destra e l'altra a sinistra di quella della vittima, erano silenziose. Nell'aria risuonava solo il furioso abbaiare di un cagnetto in un qualche giardino li intorno. Nella villetta di sinistra c'erano delle luci accese al primo piano. Suonarono il campanello posto al lato del piccolo cancello che divideva il vialetto condominiale dal giardino, piccolo anch'esso, di proprietà. Dopo qualche istante si aprì la porta di casa, visibile dalla loro posizione. Dalla porta emerse la figura poco illuminata, alta e massiccia, del vicino di casa dei Rogai. Dal nome sulla targhetta sotto il campanello Sonia dedusse che doveva trattarsi di Fulvio Speranza.
"Signor Speranza, sono il vice ispettore Proietti della Polizia di Stato" si qualificò Sonia. "Posso parlarle?"
"Io nun so un cazzo la avverto, comunque prego, si accomodi" esordì Speranza, greve.
Un tono di voce basso, vagamente minaccioso. La serratura del piccolo cancello scattò, azionata dal pulsante posto all'interno dell'abitazione. Percorsero i pochi metri mal illuminati e solo da vicino si resero conto che Speranza era un autentico gigante. Occupava quasi integralmente la luce della porta e non accennava a entrare. Completamente calvo, portava un paio di pantaloni corti e una maglietta che lo facevano sembrare fuori posto visto che la temperatura era da cappotto.
"Cazzo volete?" li aggredì verbalmente Speranza. "famo presto che ciò da fa'"
"Signor Speranza mi dispiace farle perdere tempo" disse Sonia mescolando un filo d'ironia al fatto di essere leggermente infastidita dal tono del gigante. Oltre ad essere anche un po' intimorita dalla sua stazza.
"Stiamo indagando sulla morte della povera Stefania Rogai, la figlia dei suoi due vicini, e vorremmo farle qualche domanda. Ci potrebbe essere utile qualsiasi cosa".
"Ve l'ho già detto, io nun so un cazzo. Sabato non c'ero, so' tornato domenica sera. Me state a fa' freddà casa, moveteve" rispose brusco Speranza.
Mentre Sonia stava per parlare De Santis la scansò delicatamente e si mise vicino al gigante.
"Ora senti a me, stronzo. Già t'ho fatto passà un guaio tre anni fa. Mi pare che sei uscito da poco. Non lo sapevo nemmeno che eri fuori altrimenti invece che bussando al campanello venivo direttamente con un mandato di cattura. Fai poco lo stronzo o ci metto un cazzo a farti tornare in albergo. E porta rispetto all'ispettore".
Pur fisicamente massiccio, De Santis spariva di fronte alla montagna umana che gi si parava di fronte. Che tuttavia doveva aver fatto tesoro delle passate esperienze perché gli si allargò un sorriso sul faccione.
"Ugo! Mica t'avevo visto! Però strano perché la merda la riconosco dalla puzza!" il tono però era scherzoso, come se fossero vecchi amici.
Sonia era interdetta e De Santis si sentì in dovere di spiegarle.
"Il qui presente Speranza ha fatto vacanze a spese dello stato per lesioni personali aggravate ai danni di un commerciante di Albano. L'ho arrestato io. Non sapevo abitasse qui ora".
"Però Ugo mi ha anche salvato il culo" aggiunse Speranza "perché quello era un cravattaro, ma nun ce credeva nessuno che aveva mandato due infami a bruciarmi la macchina. Così quando Ugo l'ha incastrato, m'hanno dato le attenuanti generiche e me so' fatto poco".
"Va bene adesso basta. La rimpatriata possiamo farla dentro casa che sto gelando?" concluse Sonia.
Dentro la casa era spoglia, nel soggiorno troneggiava una televisione a schermo piatto sintonizzata su un canale sportivo. Una poltrona sfondata che un tempo era di colore chiaro guardava solitaria il programma. Sul tavolo i resti del pranzo. A giudicare dalla temperatura interna la caldaia lavorava a pieno regime.
"Allora Speranza, che hanno fatto la festa alla ragazzina lo sai" disse De Santis, utilizzando un tono da bassifondi, probabilmente per far sentire il gigante più a suo agio. Sonia colse immediatamente l'uso da parte di De Santis di tecniche di sincronizzazione verbale. Si segnò mentalmente di chiedere al collega se avesse frequentato corsi di programmazione neurolinguistica o se ne faceva un uso istintivo.
"Te abiti qua accanto. Non mi dirai che non ne sai niente" insinuò De Santis, per minare la sicurezza del gigante.
"Che mi vuoi fottere? Non ci casco, so' troppo vecchio. 'Sti scherzi falli ai pivelli amici dell'ispettore. Con rispetto signora ma lei è giovane" rispose aggressivo Speranza.
"Voglio solo sapere che tipo era la ragazza, chi riceveva, se andava d'accordo coi suoi, con quanti scopava, se si faceva di nascosto. Per farle l'identikit ti saranno bastati dieci minuti. Forza. Racconta" concluse De Santis.
Sonia era oramai relegata al ruolo di ascoltatrice passiva. Si chiese se questo tipo di domande erano poste nella maniera giusta, ma di certo erano domande utili. Nessuno, più di una persona con un passato discutibile poteva aver notato atteggiamenti o comportamenti altrettanto discutibili.
"Te l'ho detto... nun so' un cazzo" provò a tenere duro il gigante. De Santis fece una faccia brutta e al tempo stesso incredula.
"Avanti, mi basta poco" gli disse.
"Ma che ne so... era 'na ragazzina, 'na bella ragazzina. Beato quel pischello che se la faceva. Però davero... non so manco a che ora entrava o 'sciva de casa. So solo che quando i suoi erano fori il ragazzo la veniva a trovare e dopo un po' mettevano su musica alta, che se no li sentiva tutto il condominio. Insomma 'na tipa normale, nun fumava, pulita. Se se faceva me ne sarei accorto. Mi salutava quando ci vedevamo dal giardino, era allegra. Chi l'ha fatta secca è un gran pezzo di merda" concluse Speranza.
Furono liquidati bruscamente dal gigante ma Sonia sentiva che le informazioni ricevute erano interessanti, iniziavano a darle un quadro della ragazza più preciso. Non avevano perso tempo

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Sonia e le verità
Gizem / GerilimIn un non meglio identificato paese dei Castelli Romani una ragazza viene trovata morta in casa, uccisa barbaramente. Il giovane vice ispettore Sonia Proietti, al suo primo caso importante, è alle prese con i dubbi e le incertezze dell'indagine. Il...