1. MAYA

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Fuori faceva freddo per essere una sera di luglio, precisamente il 29 di luglio 2023. Camminavo ormai da mezz'ora verso un palazzo di 12 piani con una terrazza stupenda. Non per ammirare le stelle, ma per buttarmi di sotto. Avevo provato ad ammazzarmi altre quattro volte ma per qualche strano motivo non aveva mai funzionato nessuno dei miei tentativi. Il primo tentativo aveva avuto luogo a scuola - sì a scuola -, avevo avuto un attacco di panico ed ero chiusa in bagno, mi ero portata dei calamanti prescritti dal mio psicologo, ne ingerii cinque dosi al posto di una, avevo sentito girare tutto e poi il buio totale.
Mi ero risvegliata in ospedale.
Mi avevano detto in seguito che il bidello mi aveva trovata in tempo e aveva chiamato il 911.
Il secondo tentativo fu il giorno dopo all'ospedale. Avevo assunto una dose spropositata di calmante e dovevano assicurarsi che mi riprendessi del tutto prima di mandarmi a casa. L'infermiera aveva lasciato dei medicinali sul comodino - errore enorme - e io feci la mia mossa. Mossi a fatica il braccio destro dove avevo la flebo e presi un barattolino, non mi importava che cosa fosse, ne presi una manciata e la buttai giù. Non serve dire che fallii anche quella volta.
Il terzo tentativo fu quello che più sconvolse i miei.
Overdose.
Andai in overdose di coca e i miei pensavano che fossi diventata una tossica - dopo le pillole dell'ospedale e l'overdose. Non avevo calcolato male le dosi, era mia intenzione andare in overdose ma i miei non lo dovevano sapere quindi gli dissi che avevo un dipendenza e ora andavo pure in riabilitazione.

Guardai dietro la cover del mio telefono, il bigliettino era lì da un po' e aveva iniziato a diventare giallino.
La scritta in caratteri cubitali diceva “5 MODI PER MORIRE”
Per ora ne avevo messi in pratica tre e oggi sarebbe stato il quarto. Il quinto modo era un po' brutale quindi mi ero imposta un ordine dal più semplice al più complicato di modo che, se avessi fallito, avrei provato quello dopo della lista.
Ero sicura che il quarto sarebbe riuscito quindi il quinto rimaneva lì, nel retro del mio telefono.
Camminavo ancora e mi venne in mente un episodio spiacevole ma non potei fermarlo.

Stavo cazzeggiando su Instagram quando vedo delle mie foto, batto le palpebre ma quando riapro gli occhi le foto erano ancora lì.
Clicco sul post e ne vedo altre, guardandole noto che erano tutte foto che avevo mandato alla mia migliore amica.
Le scrivo ma non legge i messaggi. Il giorno dopo a scuola arrivo in classe e la trovo vicino al mio banco con altre persone, mi avvicino facendomi spazio tra le persone e vedo attraverso il suo telefono le stesse foto che avevo visto la sera prima.
“Ma che cazzo…” la voce mi uscì flebile “che cazzo ci fanno quelle foto su Instagram?”
“Che c'è non ti fa piacere, sei famosa!” aveva quella faccia da cazzo che mi venne voglia di tirarle un pugno dritto sul naso.
“Sei muta ora?” più mi guardava più mi veniva l'impulso di deviarle il setto nasale.
“Toglile”
“Come scusa, non ho sentito”
“Cazzo se non le togli…”
“Se non le tolgo cosa, cosa fai?” Odiavo quando le persone mi interrompevano.
Non pensai. Agii e basta.
Le tirai un pugno dritto tra i denti e il naso e lei cadde a terra.
Ovviamente tutti si avvicinano a lei come se l'avesse appena investita un camion.
“Cosa sta succedendo ragazzi” la prof si avvicinò e vide Martina - la mia migliore amica - a terra, si girò verso di me e poi verso di lei.
“ Si può sapere che le ha tirato un pugno?”
“È stata Maya”
“Maya?”
“Si prof, le ha tirato un pugno”
La professoressa d’amicis mi guardò, mi conosceva abbastanza bene da affermare che non ero una persona incline alla violenza ma abbasso lo sguardo sulla mia mano ancora chiusa a pugno.
“Maya? Cosa…perché…”
La guardai negli occhi ancora scioccata da quello che avevo appena fatto. Avevo tirato un pugno alla mia migliore amica. Beh se lo meritava, giusto?
“Io…” mi guardai la mano poi mi voltai verso Martina ancora stesa a terra tra le braccia di Andrea - doveva essere contenta, ci provava con lui da almeno un anno - “ io, non lo so”
Non era vero lo sapevo perché.
Aveva pubblicato delle mie foto senza chiedere.
“Aiuta Martina ad alzarsi, andiamo in presidenza” lo shock ancora visibile sulla sua faccia.
“No prof non mi faccio aiutare da lei, mi può accompagnare Andrea?”
“Si va bene basta che ti muovi”
Ma davvero.
Dio avrei voluto tirargli un altro pugno.
Nei giorni seguenti lei continuava a fare la vittima e a guardarmi come se le avessi tirato una coltellata e non un pugno.
Iniziai ad andare dallo psicologo, perché secondo la preside avevo problemi con la rabbia.
E certo che ho problemi con la rabbia.
Fammene una colpa. Vivo da sola da quando ho quattordici anni perché i miei viaggiano per lavoro.
Mandano dei soldi a una signora che mi fa la spesa e le pulizie, per il resto faccio da sola. Mi sfogo su un sacco da boxe in cantina e l'unica persona che mi parlava si è scoperto che non lo ha mai voluto fare.
E come se non bastasse ogni volta che vado da qualche parte la gente mi guarda e ride, ogni notifica che mi arriva sono insulti.

Ricacciai indietro quei pensieri facendo un gran respiro e un profumo di cinese mi inondò le narici.
Avevo camminato un po' ed ero arrivata vicino a Chinatown. Ora che ci penso mi è venuta un po' di fame. Magari faccio un salto a prendere un ramen.
Mi decisi ed entrai in un ristorante.
Non c'era coda alla cassa ma c'era un tizio che parlava a macchinetta con la cameriera, feci per avvicinarmi, gli toccai la spalla e lui si girò.
I miei occhi si incastrarono nelle sue iridi color pece. Porca puttana erano davvero stupendi.

5 MODI PER MORIREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora