11. MATTEO

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«Dove la portate? Non potete, voi, è minorenne, ha bisogno di qualcuno»
«Sai dove sono i suoi genitori?»
«No non, sono in un viaggio di lavoro»
«Allora se non sai altro puoi andare a casa, qua non ci servi»
«No aspettate, ditemi dove la portate, vi prego»
«Non posso, mi dispiace»
Mi agito sempre di più nel momento in cui le porte dell'ambulanza si chiudono e il medico mi dà una pacca sulla spalla.
«Vai a casa figliolo, riposati»
«Se vi dessi un'informazione?» disse la mia bocca prima che il mio cervello potesse darle l’ok.
Il medico mi guarda ora interessato a quello che sto dicendo.
«Sali, non abbiamo tempo da perdere»
Il medico apre le porte posteriori dell'ambulanza e mi fa salire. Metto il piede sul secondo gradino e salgo con il cuore che batte più di quanto abbia mai fatto in vita mia, batte più forte di quando sento le urla di mia mamma che viene scaraventata al pavimento da mio padre.
Appena mi siedo di fianco a Maya le prendo la mano ancora gonfia e me la porto al petto.
«Non mi lasciare ti prego, devo ancora insegnarti a suonare» la guardo in faccia, mi porto la sua mano stretta tra le mie alla bocca. «Mi devi ancora insegnare a tirare i pugni» dico tra un singhiozzo e l'altro.
«Non mi puoi lasciare, non così, non ora» Le lascio un bacio sulla mano. “Ho bisogno di te»
«Ragazzo, cosa mi dovevi dire?»
Guardo il medico senza mai lasciare la sua mano.
«Prima di svenire…»
«Con calma ragazzo, vai con calma»
«Prima di svenire, lei…ha quasi strangolato quel tizio, non so perché, quando l'ho tirata indietro aveva perso conoscenza ed è svenuta»
«Ssi cosa ci faceva quel signore a casa sua?»
«No, ma presuppongo che volesse rubare qualcosa»
Il medico mi dà di nuovo una pacca sulla spalla e io ritorno con lo sguardo su Maya. Ha il viso pallido e le sue lentiggini sono sparite.
L'ambulanza si ferma e i portelloni si aprono, delle persone con il camice prendono la barella su cui è posata Maya. La sua mano mi scivola dalle mani e rimango da solo nell'ambulanza. Lo sguardo fisso sul cemento dove i medici stanno facendo scorrere la barella. Tutto va a rallentatore.
Scendo dall'ambulanza e mi affianco alla barella. Le riprendo la mano.
Maya ti prego resisti.
Resisti.
Resisti.
Entriamo all'interno della struttura che presuppongo sia un ospedale.
Qualcuno mi prende le spalle e mi blocca.
«Ragazzo non puoi entrare lì»
«Cosa le fate?» chiedo all'infermiere.
I miei occhi gonfi di lacrime diventano pesanti.
«Dove la portano?» urlo mentre mi siedo a terra. Mi chiudo la testa nelle braccia mentre premo la schiena contro la parete azzurra.
«Non ti preoccupare, andrà tutto bene»

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«Quando posso vederla?»
«Quando si sveglierà» mi dice l'infermiere alla reception.
«Ma ormai è quasi un giorno che la tenete qua» metto le mani sul bancone «dimmi la verità, è perché non sono un parente?»
L'infermiere stacca gli occhi dal monitor e mi lancia uno sguardo di ghiaccio, forse perché lo stavo stressando da parecchio.
«Sei maggiorenne?»
La domanda mi fa aprire leggermente gli occhi tanto che l'infermiere torna con lo sguardo al monitor. Mi tocco le tasche per prendere il portafogli. Tiro fuori una carta di identità falsa e la porgo all'infermiere. Lui guarda prima me poi la carta che tengo in mano, poi torna a me. Prende la carta, la rigira tra le mani. Me la ridà e scrive qualcosa sulla tastiera del computer.
«Posso vederla?»
Lui continua a scrivere poi fissa il monitor, seleziona qualcosa con il mouse poi mi guarda.
«Non sei maggiorenne»
«No ma…»
«Camera 5»
«Cos-»
«Vai, non ho più voglia di sentirti parlare»
I miei occhi si riempiono di lacrime, scavalco il bancone e mi getto al collo dell'infermiere.
«Grazie, grazie, grazie»
«Vai, e non ti far più vedere»
Esco dalla reception e corro nel corridoio con la targhetta 1-10. Corro fino alla camera 5 e mi ci fermo davanti. Prendo fiato un paio di volte e poi mi decido a entrare. Spingo la maniglia verso il basso e apro la porta verso sinistra. Appena entrato mi trovo di fianco a un'altra porta  con l'icona del wc. Faccio un passo in avanti e dei piedi entrano nella mia visuale. Ne faccio un'altro e poi un'altro ancora. La sua faccia è priva di emozioni. Mi avvicino e mi metto in ginocchio di fianco al letto dove Maya dorme. Le prendo la mano e me la porto al viso dove i miei occhi hanno ormai bagnato il resto del viso.
«Piangi?»
I miei occhi si spostano sul suo viso.
«Non pensavo che i ragazzi piangessero» disse aprendo gli occhi e spostando la testa verso di me.
«Stai zitta scema» mi alzo in piedi e la metto seduta prima di stringerle il busto.
«Non farlo mai più»
«Non prometto niente»

5 MODI PER MORIREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora