Il cuore di Lucrezia

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La stanza di Lucrezia Tornabuoni era quanto di più diverso da quello che Simonetta si sarebbe mai potuta aspettare: una grande finestra aperta lasciava entrare la luce e il tiepido calore di una giornata di primavera. La stanza era invasa da vasi traboccanti di fiori recisi profumati e sparsi ovunque giacevano libri aperti, letture iniziate e mai terminate. Alle pareti dipinti di artisti diversi e sopra il letto il ritratto del defunto marito, Piero de' Medici. 

"Vi lascio sola per vestirvi e poi parleremo" le aveva detto Lucrezia prima di chiudersi la porta alle spalle. Quella stanza trasmetteva forza e tranquillità allo stesso tempo. Simonetta si era seduta alla sedia della toeletta  e aveva osservato il suo riflesso nel piccolo specchio: non si era mai vista così, con i capelli arruffati e lo sguardo felice.

Non si era accorta del rientro di Lucrezia, persa a osservare i quadri appesi alle pareti.

"La bellezza fa lo stesso effetto anche a me, quello di trasportarmi in mondi che non sono i miei lasciandomi ad inseguire i pensieri. Ma poi sono obbligata a tornare alla quella realtà da cui non possiamo sfuggire. Entrambe" le aveva detto prendendola per mano e facendola sedere accanto a sé sul baule ai piedi del grande letto.

"Sapete, non avevo una buona opinione di voi. Ho sempre creduto che foste una delle tante mogli annoiate di questa città e che mio figlio per voi fosse un semplice diversivo in una vita monotona. Ma poi ho visto Giuliano soffrire per la lontananza da Firenze, ho letto lettere dei miei corrispondenti che mi parlavano di un ragazzo dallo sguardo spento che cercava di fare al suo meglio i compiti che gli erano stati assegnati senza mai sorridere. E poi ho capito che a mancargli non era la città, ma eravate voi. Così, vi confesso, vi ho fatta seguire per un po' e chi mi ha parlato di voi mi ha raccontato di una giovane donna, di una moglie sposata senza amore, soffocata da una famiglia ostile. Viviamo in una società che ci impone le sue scelte, ci impone chi sposare, chi essere, come comportarci ma che non ci può imporre chi amare". Lucrezia aveva gli occhi lucidi, eco di un dolore lontano soffocato dal dovere. 

"Ci ho pensato a lungo senza arrivare a prendere una decisione. Ma quando poi stamattina ho sentito i miei figli litigare ho desiderato rimediare agli errori commessi in passato, dando almeno la possibilità ad uno dei due di essere felice. Per Lorenzo è già troppo tardi: un matrimonio da me tanto anelato, una moglie che io stessa ho scelto con cura, non gli hanno regalato un solo giorno felice. Non desidero più lo stesso destino per Giuliano. Credo lo sappiate già che ho sempre avuto un debole per lui, il figlio prediletto di Firenze è anche il mio anche se so che una madre non dovrebbe avere debolezze simili" stava dicendo ancora Lucrezia stringendole la mano.

Simonetta la guardava senza saper cosa dire. Osservava i suoi capelli bianchi stretti sotto una retina ornata di perle, guardava le rughe che ornavano quei suoi occhi profondi e sentiva, in ogni parola, l'amore di una madre che avrebbe fatto qualunque cosa per il figlio, quell'amore che lei non aveva mai conosciuto e che, in quell'esatto momento, aveva scoperto esserle così tanto mancato.

"Vi chiedo una sola cosa: voi amate Giuliano? Lo amate davvero?" le aveva poi chiesto, quasi a bruciapelo, quasi temendo la risposta. 

"Lo amo. Ho iniziato a vivere il giorno in cui i suoi occhi si sono posati su di me la prima volta" aveva risposto Simonetta quasi sussurrando, perché mai a nessuno aveva confessato di aver amato Giuliano fin dal primo istante.

Lucrezia aveva sorriso.



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