Capitolo 6: sei un appestato?

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Oggi è venerdì. Quindi, come stabilito qualche giorno fa, non ci racconteremo alcuna storia né oggi né domani. Quasi mi annoio senza sentire i racconti dei miei compagni; passiamo praticamente tutta la giornata a chiacchierare, cucinare e leggere. Ma nonostante non faccia nulla in particolare, mi dà sollievo il fatto che io stia riuscendo ad ignorare il solito peso all'altezza del petto e della schiena. Anche se ho imparato a conviverci, questo fa sempre male e, durante tutti i miei giorni a Firenze, non faccio altro che gemere e lamentarmi in silenzio. In questi momenti diversi dal solito, invece, mi ritrovo a sentire il dolore e a lasciarlo fare. Non mi importa che si invaghisca di me, non gli do attenzione. Se dovessi farlo, prenderebbe di nuovo il controllo, rendendomi quella di sempre: un cumulo di pelle vuoto e macchiato. Voglio godermi la natura, voglio godermi la campagna, voglio godermi i miei amici. I miei incubi non si sono placati minimamente. Continuo a vedere ogni notte il viso pallido e sfocato di un essere che si identifica come Dio. Nei miei sogni abbastanza vividi non riesco mai a mettere a fuoco il corpo di Dio. Vedo soltanto un viso enorme e pallido, con dei contorni molto vaghi e dettagli molto leggeri. Ma ciò che mi rimane impresso nella mente come una cicatrice profonda, sono gli occhi di Dio. Buio tenebroso, incendiato e illuminato da fiamme incontrollate e selvagge. Ruggenti bracci di fuoco divampano nelle pupille di Dio. Sembra quasi che il fuoco di rabbia e rimprovero nei suoi occhi influenzi anche me, bruciacchiandomi e minacciando di ridurmi in infima cenere.

Tutti dicono che Dio sia come un angelo; gentile, genuino e candido. Il re del paradiso e il cancelliere dei cieli. L'unico capace di gestire la bontà e la cattiveria del mondo. Colui capace di aiutare tutti, prendendosi cura delle genti e preservando per loro il bene.

Ma nei miei sogni faccio fatica a credere che sia lui, Dio. Perché vedo soltanto un essere indemoniato che si spaccia per il celebre Signore. Scruto attentamente il volto indelebile di quell'uomo dagli occhi severi che cerca di strangolarmi in ogni mio incubo. Del Dio di cui tutti parlano non c'è neanche una traccia. Vedo solo una bestia violenta che dice che mi ucciderà se io non mi pentirò. Mi minaccia e mi rassicura dicendomi che tanto finirò presto all'Inferno. Mi consola dicendomi che la mia ora arriverà e il peso di cui mi lamento svanirà, venendo sostituito dal dolore crudo ed eterno. 

Mi rendo conto della velocità a cui corre il mio povero cuore e del tremolio che mi scuote leggermente, facendo muovere anche il libro che a stento tengo tra le mani. 

Sono esattamente dove mi trovo ogni sera da quando siamo arrivati qui. 

Seduta con le spalle poggiate su un pino altissimo, con il fondoschiena piantato a terra, diviso dal suolo da un telo fine. Con accanto un enigma fatto a persona, reso bellissimo da un paio di iride verdi.

Né io né Panfilo proferiamo parola da svariato tempo, i nostri amici siedono ancora attorno al falò e chiacchierano tra di loro sotto il chiaro di luna. In tutta la campagna si sente solo il verso delle cicale, il fruscio delle piante e il brusio delle chiacchiere in lontananza. La calma e la tranquillità nell'aria si dissolve in pochi attimi quando poco lontano da noi udiamo uno straziante urlo, un grido d'aiuto disperato che si avvicina verso di noi e ci martella le orecchie. Tutti cessano di parlare e si irrigidiscono. In particolare Panfilo, che si alza in piedi e mi strattona dietro di lui mentre analizza tutto il bosco circostante per trovare chiunque stia ancora gridando.

<< Stai qui mentre controllo che succede. Non. Muoverti.>> mi ordina scandendo bene le ultime due parole.

<< No. Voglio vedere anche io che succede e non penso che me lo imped...>>

<< Stai. Qui. Emilia.>> Stringe la mano sul mio braccio obbligandomi a stare immobile. Pochi attimi dopo si volta e corre verso gli altri,  tutte le ragazze si spostano lontane dal falò mentre Panfilo, Dioneo e Filostrato afferrano due rami intatti da terra e li accendono con la debole fiamma che illuminava tutti quanti pochi attimi fa. Usano la luce delle  torce per guardarsi intorno e cercare colui che ha urlato. Intravedo un uomo da lontano. Porta una veste larga sporca e stracciata, mentre corre e grida in prossimità del bosco.

Ten damn days ( il Decameron )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora