Finalmente Filomena si stacca da Panfilo. Non so neanche perché mi senta sollevata. A dir meglio, so qual è il motivo, ma lo ignoro e lo ripudio. Faccio finta di non conoscerlo. Metto da parte tutta la mia insensata gelosia.<<Dato che sarò io la regina di oggi, proclamo come tema le storie terminate con un lieto fine. Quelle vicende ingarbugliate che però poi, dopo mille complicazioni, disgrazie e sfortune, filano liscio. Dovrete raccontare di un raro e incredibile episodio che termina lasciando vivere tutti felici e contenti.>> Si aggira per il giardino con le mani sui fianchi, fissandomi da sotto le sue ciglia folte e nere.
<<Perfetto>> sorrido.
Filomena mi dà le spalle improvvisamente e si rivolge al ragazzo dai capelli corti e castani.
<<Panfilo, ti va di giocare a scacchi con me?>>
Lui esita, si gratta la nuca. <<Ehm, certo. Filostrato vieni, perché non fai l'arbitro, come stamattina?>> Lo richiama con la mano. L'altro saltella verso il suo amico. Filomena guarda il ragazzo dai baffi verso il cielo con aria infastidita, poi decide di arrendersi e di continuare a sfoderare il suo sorriso.
Una mano sulla spalla mi fa voltare. <<Emilia, va tutto bene?>> Fiammetta mi risveglia dalla mia trance e mi rendo conto solo ora dei piccoli graffi sul mio avambraccio.
<<Sono tranquillissima, Fiammetta.>> mormoro a pochi centimetri dalla mia migliore amica.
<<Quei graffi? Non puoi nascondermi nulla, Emilia, ho capito tutto>> ridacchia, anche se nei suoi occhi c'è una forma di rimprovero.
<<Non hai capito nulla, non c'è nulla da capire, dimentica ciò che hai capito.>>
Lei mi risponde sbuffando. Alza le mani in segno di resa e torna accanto a Pampinea.
Sono un po' scorbutica in questo preciso momento, sarà meglio che mi calmi.
Prendo da un angolo del cortile la sacca dei ragazzi con gli archi, le frecce e una canna da pesca. Costeggio la villa e raggiungo un piccolo spazio nascosto nella natura. Una piccola stalla che abbiamo sistemato ieri. Ci sono dei piccoli recinti per tutti i nostri cavalli. Da un lato della stalla abbiamo accumulato diverse balle di fieno che abbiamo trovato dentro una sorta di officina di legno nell'ingresso della casa. Straripava di utensili di tutti i tipi, strumenti per la pulizia e la cura dei cavalli e persino del fieno. Mi dirigo dal cavallo nero dal muso bianco, che appartiene a me e Fiammetta. Lo abbiamo chiamato Mario-barra-Maria, perché anche se siamo certe che sia un maschio, ci piaceva pensare che fosse femmina. Salto il recinto e gli accarezzo il muso. Afferro le briglie e lo trascino nella foresta addolcendolo con un banale spuntino di fieno.
Mi viene davvero difficile montare su un cavallo da sola, sopratutto quando sono in pubblico. Ma ora che sono sola, non devo preoccuparmi di salire in groppa ad un cavallo anche sembrando un ridicolo sacco di patate. Trascino con tutta la forza del mio corpicino esile il mio peso sul dorso dell'animale. Mi posiziono e sbuffo per la fatica. Poi sistemo a tracolla la sacca delle frecce e dell'arco.
Do un colpetto al cavallo per farlo galoppare mentre lo dirigo nella foresta allontanando per un po' i miei strani pensieri. Ricordo quando avevo a stento sette anni e mio padre mi insegnava a impugnare l'arco, mi diceva di stare attenta, mi rimproverava quando mancavo una preda, mi ricordava di immedesimarmi negli animali. E in questo momento voglio pensare a quei lontani ricordi felici, dove mi concentro solo nell'essere precisa.
Voglio solo allontanare la mente dal sorriso di Filomena e dal modo in cui guardava Panfilo come se fosse bellissimo.
Una lince cade colpita dalla mia freccia.
STAI LEGGENDO
Ten damn days ( il Decameron )
DiversosDieci persone e dieci giornate, non può andare bene... nel 1348 ci fu la peste e, come ci disse Boccaccio, dieci ragazzi scapparono da Firenze per un po', per divertirsi, per svagarsi, per fuggire da una città distrutta dalla malattia. Sette ragazze...