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Ritrovatasi nelle fogne, proseguì verso nord, lontana il più possibile dal palazzo imperiale. Sopra la sua testa sentiva ancora il ruggito iracondo della Guardia Sultanesca. Saltellò più veloce che poté riprendendo a respirare solo quando l'unico suono a farle compagnia fu quello della sua zoppia.

Si sedette a lato della galleria poggiando la schiena al muro. Si sentì come a casa. Esalò un lungo respiro e poi iniziò a ridere. Una risata isterica, carica di apprensione. Se qualcuno l'avesse vista in quel momento l'avrebbe creduta pazza. Quella risata conteneva tutto: gioia, panico, sollievo, perfino rabbia. Il modo perfetto per estirpare qualsiasi sentimento ancora le facesse tamburellare il cuore.

«Vinto, vinto, HO VINTO IO» improvvisò un balletto della vittoria con le braccia. La fortuna sfacciata che aveva avuto la mise ancor più di buon umore.

Con le lacrime che ancora le solcavano le guance arrossate si controllò la caviglia: la situazione era peggiore di quanto avesse immaginato. Gonfia e bluastra, le pulsava fino al cervello, martellante. Ma non sembrava rotta. Doveva soltanto tenerla a riposo e, magari sollevata per permettere il deflusso del sangue allentando la pressione.

Aveva notato quella grata, quando il belloccio dai capelli bruno-ramati l'aveva placcata a terra. Mentre le tratteneva la testa al suolo, i suoi pensieri avevano vagato alle sbarre di una cella finché l'allucinazione dovuta al panico non aveva trasmutato in un'inferriata reale e tangibile.

Ci si era lasciata scivolare attraverso certa di essere l'unica a poterla attraversare. Era sbagliato, lo sapeva bene, ma in quel momento non riuscii proprio a non essere grata di poter sentire ogni sua costola del busto. La mano posata sul costato e il brontolio cupo del suo stomaco le ricordò il cibo che la stava aspettando nella borsa.

Dopo tutto quel trambusto, quasi aveva dimenticato che aveva fame e che era riuscita a procurarsi il nutrimento che bramava.

L'odore putrido di quel labirinto di cunicoli le dava la nausea, ma non poteva aspettare oltre per nutrirsi. Doveva recuperare un po' di energie.

Estrasse sei spiedini, e si concesse di odorarli, per far montare l'acquolina. Odoravano ancora di aglio anche se la salsa ormai era scomparsa. Li divorò in pochi minuti. Era famelica da non riuscire nemmeno a gustarne il sapore.

Appena cotti sarebbero stati molto meglio. La carne fredda si era indurita quasi a provocarle un leggero dolore alla dentatura mentre masticava. Ma anche quel cibo aveva vissuto un'avventura, che li aveva privati dei succhi, esattamente come quella giornata l'aveva privata delle ultime energie.

Il cotone della sacca puzzava d'aglio. Si appuntò mentalmente di darle una pulita appena ne avesse avuto la possibilità. Trovare dell'acqua nel deserto non era semplice, ma non impossibile. A Midabd si trovavano diversi fonti di acqua potabile in giro per la città. Erano contingentate per evitare lo spreco, ma ai più erano accessibili, bastava pagare una piccola tassa in monete d'argento. Per quelli che non potevano permetterselo rimaneva l'estrazione dell'acqua di cactus schiacciando la polpa spugnosa.

Estrasse una piccola otre e bevve due grossi sorsi e riprese il suo cammino. La sua giornata non era ancora finita, un'ultima cosa andava fatta.

Prese i bastoncini che prima tenevano insieme la carne, li accomodò intorno alla caviglia gonfia. Strappandosi parte del tessuto della manica intrisa di sangue avvolse il tutto steccandola. Appoggiata alla parete come una stampella riprese il suo cammino.

Sottoterra era molto più difficile orientarsi, ma Nayla ci aveva passato talmente tanto tempo da conoscere quasi meglio quel luogo della città sopra la sua testa. Nel corso di dieci anni aveva perlustrato tutta quella zona sotterranea facendola casa sua. Ogni tunnel era segnato in modo tale che lei non si sarebbe mai potuta perdere. I simboli che aveva lasciato erano piccoli e nascosti, invisibili se non si sapeva dove cercare.

Alba di Sabbia e AmetistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora