Capitolo 46 : Verità o bugia?

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Rientrammo nell'hotel, il suono dei nostri passi echeggiava lungo il corridoio silenzioso mentre salivamo le scale verso la stanza dove George era stato confinato dopo il suo tentativo di violenza. Il mio cuore batteva forte nel petto, una miscela di rabbia e apprensione turbava i miei pensieri, mentre le pareti sembravano chiudersi su di me come se volessero soffocarmi.

Entrammo nella stanza e lo trovammo seduto sul letto, la testa chinata in una sorta di vergogna apparente. La luce fioca che filtrava dalle tende disegnava ombre spettrali sul suo viso, mentre il ticchettio dell'orologio sul comodino riempiva l'aria di una tensione palpabile.

Il suo sguardo si alzò quando ci vide, e nel riverbero della luce notai una freddezza indifferente che mi fece rabbrividire.

"Perché hai cercato di farmi del male?" chiesi con voce carica di emozioni contrastanti, sentendo il timbro della mia voce vibrare nell'aria pesante della stanza.

George si scusò, visibilmente imbarazzato. "Ero ubriaco, non sapevo cosa stessi facendo," disse con voce sommessa, il suo sguardo evitava il mio come se non osasse affrontarlo.

Arséne intervenne, il suo sguardo scettico scrutava attentamente ogni espressione di George.

"E la minaccia di dire tutto alla madre di Rachel? Era solo un frutto dell'alcol?"

George si alzò in piedi, una sfumatura di difesa nel suo atteggiamento.

"Non so nulla della tua madre, Rachel," disse con un filo di voce. "Forse ho fatto delle minacce da ubriaco, ma non avevo alcun motivo per farlo."

Il silenzio gravò nella stanza, pesante e opprimente. Guardai Sherlock, cercando una conferma nei suoi occhi saggi, ma trovai solo una riserva ponderata che rifletteva la mia stessa incertezza.

Sentivo il cuore battere forte nel petto, il sangue ronzare nelle orecchie mentre la confusione e il dubbio mi avvolgevano come un mantello oscuro.

Dopo aver ascoltato la sua versione dei fatti, decidemmo che non c'era altro da fare in quel momento. George si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza, lasciandoci a riflettere sulla situazione.

La porta si richiuse con un tonfo sordo, ma il suo eco sembrava persistere nell'aria, come un'ombra sinistra che si proiettava sulle nostre menti.

"Non sembra sapere nulla sulla madre di Irene," disse Arséne, il suo tono riflessivo interrompendo il silenzio pesante. "Potrebbe essere stato solo un gesto insensato dettato dall'alcol."

"Non ne sono convinto, avrete notato anche voi che la risposta era un chiaro tentativo di difesa," disse Sherlock con voce determinata, il suo sguardo penetrante scrutava l'infinito come se cercasse risposte nel vuoto.

Annuii, sentendomi sollevata ma anche confusa.

"Dobbiamo continuare a cercare," dissi con determinazione, ma le parole sembravano vuote nella mia bocca, come un eco lontano che si perdeva nell'abisso della mia incertezza. "Non possiamo arrenderci finché non avremo trovato la verità."

Con un cenno d'intesa, decidemmo di scendere al ristorante dell'hotel per pranzare e discutere ulteriormente sui prossimi passi da compiere nella nostra ricerca della verità. Le luci soffuse e il tintinnio dei piatti riempivano l'aria, ma nel profondo del mio cuore sapevo che l'ombra della verità ancora ci avvolgeva, pronta a rivelare i suoi segreti più oscuri.

Dopo il pranzo, decisi di ritirarmi nella mia stanza per un momento di riflessione e per scrivere alcune lettere importanti. Salii le scale con passo deciso, la mente concentrata sui prossimi passi da compiere nelle mie indagini.

Una volta nella mia stanza, presi carta e penna e mi sedetti al tavolo. Scrissi la prima lettera indirizzata al capo dello spionaggio, informandolo del mio imminente viaggio a Berlino e delle nuove informazioni che avevo scoperto.

Gli assicurai che avrei continuato a mantenere gli occhi aperti e a raccogliere quante più informazioni possibili durante il mio soggiorno nella capitale tedesca.

Dopo aver sigillato la lettera, la posai delicatamente sul tavolo e iniziai a scrivere la seconda lettera. Questa volta era indirizzata al direttore del teatro di Madrid, dove avrei dovuto esibirmi.

Spiegai che, a causa di alcuni imprevisti e problemi personali, sarei arrivata con una settimana di ritardo rispetto alla data concordata. Mi scusai per l'inconveniente e assicurai al direttore che sarei arrivata pronta e determinata a svolgere il mio ruolo con la massima professionalità.

Dopo aver terminato entrambe le lettere, le sigillai con cura e le indirizzai ai rispettivi destinatari. Sentii un senso di sollievo nel prendere queste decisioni e nel comunicarle con franchezza.

Una volta completate le lettere, mi sedetti sulla poltrona accanto alla finestra, lasciando che il sole pomeridiano mi riscaldasse il viso.

La mia mente era ancora piena di pensieri e domande senza risposta, ma sapevo che avrei affrontato ogni sfida con determinazione e astuzia.

Sherlock, Lupin & Io, Ancora InsiemeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora