Serra delle Volpi Parte 7

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Così, spenta la sigaretta nel posacenere, ha preso una pagnotta e la messa in verticale sul tavolo, e con il grosso coltello ne ha tagliate quattro fette; le ultime due, più grandi, le ha messe da parte.

"Queste due le mangiamo dopo: con quello che dico io!" e sorride.

Annuisco e prendo quella che mi porge; l'annuso, e felice ne stacco un morso; la mia prima fetta, quest'anno, di pane di Rocchetta appena sfornato: favoloso.

Lui ha preso l'altra, la prima a essere tagliata: quasi tutta crosta.

Guardandolo, ho gesticolato con l'indice poggiato sulla guancia e ruotando la mano a pugno chiuso in senso orario, come segno di grande bontà e apprezzamento per quello che stavo mangiando.

Non appena ho finito, mi ha fatto segno di seguirlo, avviandosi in direzione della tenda che separa la stanza da quella che è la cantina.

Scostata la tenda e acceso la luce, siamo entrati.

In un angolo c'è una grossa verga, robusta e abbastanza lunga, con la punta a V (la furcedda); l'ha presa, e piazzandosi sotto il primo dei prosciutti appesi al soffitto, l'ha agganciato, e l'ha tirato giù.

Prendendo il prosciutto, e posando la verga contro il muro, mi dice "Adesso facciamo colazione con questo: sentirai come il pane è più buono!".

Il prosciutto era già stato tagliato, e un panno leggero, in cotone, ricopriva il taglio; mentre lui lo toglie io gli passo il coltello, sempre quello.

La carne è rossa, stagionata, e uno strato di grasso la circonda e un altro strato, più sottile, la attraversa; il profumo è intenso: ho l'acquolina in bocca.

Nelle sue mani il coltello diventa un bisturi; taglia tre grosse fette, sottili e precise, posandole delicatamente su una di quelle fette di pane messe da parte prima, e sovrapponendovi poi l'altra.

Così, ha fatto un panino con il prosciutto crudo: una delizia.

Poggiato il prosciutto sul tavolo, ha tagliato in due il panino, passandomene metà.

"Adesso mangia, e dimmi cosa ti sembra!" mi ha detto, invitandomi a farlo.

L'ho addentato, e masticando lentamente ho assaporato tutte le qualità di questi due prodotti veramente genuini e di alta qualità.

Non ho parlato, ma ho risposto alla domanda di mio zio gesticolando più volte con l'indice poggiato sulla guancia.

"Questi sono prodotti della civiltà contadina!" mi dice, e prosegue "Fatti con amore, e genuini; non so per quanto tempo ancora riusciremo a mangiarli, però potremo sempre e comunque dire di averli mangiati!".

Annuisco ancora una volta.

Finito, rimettiamo tutto a posto; riappeso il prosciutto, stiamo per uscire dalla cantina quando vediamo nonna entrare.

Ci siamo bloccati, e, la tenda è ancora scostata, guardati negli occhi; adesso zio deve trovare una scusa plausibile per giustificare il perché della tenda aperta, penso, e con nonna non è facile.

Difatti, intuendo, lei ha cominciato subito ad alterarsi, e borbottando è entrata in cantina.

Purtroppo per noi, il prosciutto ci ha tradito: era lì che, anche se leggermente, dondolava ancora, e quel piccolo movimento, nonostante la lieve penombra, non le è sfuggito.

"Abbiamo fatto colazione con pane e prosciutto: ne avevo voglia e così ho voluto farlo assaggiare anche a Franco!" ha detto prontamente zio, nella speranza che questo motivo, vero, fosse valido e accettato da lei, e potesse convincerla, e quindi calmarla.

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