Così, spenta la sigaretta nel posacenere, ha preso una pagnotta e la messa in verticale sul tavolo, e con il grosso coltello ne ha tagliate quattro fette; le ultime due, più grandi, le ha messe da parte.
"Queste due le mangiamo dopo: con quello che dico io!" e sorride.
Annuisco e prendo quella che mi porge; l'annuso, e felice ne stacco un morso; la mia prima fetta, quest'anno, di pane di Rocchetta appena sfornato: favoloso.
Lui ha preso l'altra, la prima a essere tagliata: quasi tutta crosta.
Guardandolo, ho gesticolato con l'indice poggiato sulla guancia e ruotando la mano a pugno chiuso in senso orario, come segno di grande bontà e apprezzamento per quello che stavo mangiando.
Non appena ho finito, mi ha fatto segno di seguirlo, avviandosi in direzione della tenda che separa la stanza da quella che è la cantina.
Scostata la tenda e acceso la luce, siamo entrati.
In un angolo c'è una grossa verga, robusta e abbastanza lunga, con la punta a V (la furcedda); l'ha presa, e piazzandosi sotto il primo dei prosciutti appesi al soffitto, l'ha agganciato, e l'ha tirato giù.
Prendendo il prosciutto, e posando la verga contro il muro, mi dice "Adesso facciamo colazione con questo: sentirai come il pane è più buono!".
Il prosciutto era già stato tagliato, e un panno leggero, in cotone, ricopriva il taglio; mentre lui lo toglie io gli passo il coltello, sempre quello.
La carne è rossa, stagionata, e uno strato di grasso la circonda e un altro strato, più sottile, la attraversa; il profumo è intenso: ho l'acquolina in bocca.
Nelle sue mani il coltello diventa un bisturi; taglia tre grosse fette, sottili e precise, posandole delicatamente su una di quelle fette di pane messe da parte prima, e sovrapponendovi poi l'altra.
Così, ha fatto un panino con il prosciutto crudo: una delizia.
Poggiato il prosciutto sul tavolo, ha tagliato in due il panino, passandomene metà.
"Adesso mangia, e dimmi cosa ti sembra!" mi ha detto, invitandomi a farlo.
L'ho addentato, e masticando lentamente ho assaporato tutte le qualità di questi due prodotti veramente genuini e di alta qualità.
Non ho parlato, ma ho risposto alla domanda di mio zio gesticolando più volte con l'indice poggiato sulla guancia.
"Questi sono prodotti della civiltà contadina!" mi dice, e prosegue "Fatti con amore, e genuini; non so per quanto tempo ancora riusciremo a mangiarli, però potremo sempre e comunque dire di averli mangiati!".
Annuisco ancora una volta.
Finito, rimettiamo tutto a posto; riappeso il prosciutto, stiamo per uscire dalla cantina quando vediamo nonna entrare.
Ci siamo bloccati, e, la tenda è ancora scostata, guardati negli occhi; adesso zio deve trovare una scusa plausibile per giustificare il perché della tenda aperta, penso, e con nonna non è facile.
Difatti, intuendo, lei ha cominciato subito ad alterarsi, e borbottando è entrata in cantina.
Purtroppo per noi, il prosciutto ci ha tradito: era lì che, anche se leggermente, dondolava ancora, e quel piccolo movimento, nonostante la lieve penombra, non le è sfuggito.
"Abbiamo fatto colazione con pane e prosciutto: ne avevo voglia e così ho voluto farlo assaggiare anche a Franco!" ha detto prontamente zio, nella speranza che questo motivo, vero, fosse valido e accettato da lei, e potesse convincerla, e quindi calmarla.
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Serra delle Volpi
General FictionIn questo romanzo cerco di condurre il lettore in un coinvolgente racconto di vita vissuta, con una dovizia e precisione di episodi ed esperienze impressi nella mia memoria. Il mio è un viaggio in un paesaggio e ambiente bucolico, che mi hanno segna...