Capisco subito che non si sta fermando; ha solo rallentato, e adesso sta svoltando nella nostra stradina; non è un camion con rimorchio, bensì un trattore che traina un grosso rimorchio a tre assi: come quello di un autotreno.
Appena ha svoltato, il trattore, piccolo per la verità in confronto al rimorchio, accelera; per lo sforzo, una nuvola di fumo denso e nero esce dal tubo di scappamento: sembra di non farcela a trainarlo.
Ci sono tre persone sul trattore, tre uomini: uno guida, e gli altri due gli sono seduti a fianco, sui parafanghi.
"Questo va alla masseria?" chiedo; "Sì alla masseria: il grano è nostro, e il trattore lo sta guidando zio Armando!" mi risponde.
"È un rimorchio verde scuro: dello stesso colore di quello di babbo, e anche dello stesso tipo!" osservo.
"È quello di tuo padre!" mi risponde restio.
"Come: è quello di babbo?" "E quando l'ha portato; perché non è passato da Rocchetta, a trovarmi?" chiedo eccitato, incuriosito, e sopratutto meravigliato.
"Tuo padre è venuto qua con tutto l'autotreno, e poi, una volta staccato il rimorchio, è andato via; non poteva venire a Rocchetta, col camion: avrebbe impiegato molto tempo, e comunque aveva fretta di tornare a Corato!" mi dice.
"Mah, quando è venuto..., che giorno era?" chiedo ancora.
"Era il giorno che sono passato in motocicletta con Antoniuccio, e tu stavi insieme con il figlio di P'coscia a pascolare le vacche!" mi risponde con un tono leggermente inquieto.
"Ah!" Dico, e capisco che adesso non vuole più domande sull'argomento.
Lungo i lati della stradina, i campi del grano sono ancora da mietere; in alcuni punti, questo è così alto che impedisce di vedere oltre; davanti a noi il rimorchio, poi, chiude ogni altra visuale.
Noi due, in auto, adesso siamo imbottigliati: non c'è possibilità di fare un sorpasso e procediamo lenti, distanziandoci per non prendere tutta la polvere che il rimorchio solleva; zio chiude il finestrino.
Il rimorchio prosegue e va oltre la masseria, mentre noi siamo arrivati; zio ferma l'auto in direzione della cucina, e scendendo dall'auto mi chiede di dargli una mano a scaricarla perché deve andare via subito: deve tornare a Rocchetta.
Comincio a prendere le pagnotte, tre per volta, e le porto dentro, poggiandole sul tavolo centrale.
Carmela è lì, affaccendata, e sul tavolo c'è già un cesto pieno zeppo di verdure, zucchine, fiori di zucca e melanzane; accanto a questo, una grossa coppa colma di grandi pomodori, quasi rossi e profumati, da insalata.
Il tavolo è grande, e c'è spazio sufficiente per tutto quanto abbiamo portato noi; Carmela ci indica dove e come poggiare il pane e le due ceste, e dice che poi ci pensa lei a sistemare tutto quanto.
Zio Ferdi esce, va su in casa a parlare con nonna, mentre io rimango: sono incuriosito dalla cesta con i prodotti dell'orto, e dai pomodori.
Di questi ultimi ne scelgo uno, lo prendo e lo annuso; Carmela mi vede e m'invita, se voglio, a mangiarlo.
Sorridendo, prima di addentarlo le dico grazie, e lei: "Prego...; che bel bambino sei; proprio bravo e educato: sorridi proprio come tua madre!".
Zio è ridisceso ed entra per salutarci: a me rivolge alcune raccomandazioni e poi parte, mentre io rimango lì per finire di mangiare il pomodoro; intanto, Carmela comincia ad aprire e a smistare i vari involucri che abbiamo portato; richiudendoli, ne mette da parte quattro o cinque, e, accostando due pagnotte, mi dice di portare tutta quella roba su in casa, che nonna la sta aspettando.
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Serra delle Volpi
General FictionIn questo romanzo cerco di condurre il lettore in un coinvolgente racconto di vita vissuta, con una dovizia e precisione di episodi ed esperienze impressi nella mia memoria. Il mio è un viaggio in un paesaggio e ambiente bucolico, che mi hanno segna...