1. La perfezione non esiste.

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C'è stato un solo preciso momento, nella mia vita, in cui mi sono chiesta chi fossi realmente.
Chi fosse realmente la persona che riempiva questo corpo caldo.

Non mi sono mai disturbata nel prendermi un momento e mettermi davanti allo specchio, chiedendomi in chi o in cosa mi stessi trasformando.
Non mi sono mai presa il tempo di analizzarmi e capire se la persona che stavo diventando era quella a cui aspiravo da piccola.
Non mi sono mai chiesta se fossi veramente felice o orgogliosa di me stessa, dei traguardi che ho raggiunto e di quelli che di lì a poco avrei attraversato.

Sì, attraversato e non assaporato.

Ecco un'altra cosa di cui non mi sono presa il disturbo di chiedermi: ho mai assaporato la mia vita?
No, perché avrei dovuto farlo?
Perché avrei dovuto chiedermi una cosa così scontata?
Tutti, bene o male, sono soddisfatti della propria vita.
Tutti hanno assaporato la felicità e il dolore. Tutti hanno il controllo dei propri sogni.

Tutti... tranne me.

E arrivare a questa consapevolezza, prendere coscienza di questo pensiero, mi fa paralizzare sul posto.
Le mani iniziano a tremare e il respiro si fa irregolare.
Con un'ansia mai provata prima, mi lancio occhiate in giro per scorgere i volti delle persone che mi circondano.
So per certo che riescono a captare la mia diversità.
La falsità della mia immagine.

Deglutisco, con la speranza che il groppo che ho in gola scivoli via e con essa la sensazione di disgusto che provo per me stessa. Per la persona in questo corpo fatto di nebbia scura. Per la persona che respira una vita che non l'ha mai appartenuta.

Scatto in avanti con andatura agitata e con un senso di oppressione al petto, cerco di farmi largo tra le persone che sostano davanti a me e continuo a camminare finché non trovo la sezione dei controlli.

Faccio una smorfia quando, ormai per quella che sarà la millesima volta, porto la borsa di Chanel ad appesantire il braccio opposto da quello occupato poco prima. Con delicatezza sfioro le rifiniture della borsa con le mie dita sottili, pulite e smaltate da poco.
Rabbrividisco a questo particolare che ostenta da tutte le parti una sola parola: perfezione.

La perfezione è mia madre con i suoi capelli sempre ben curati e il fisico asciutto e tonico, invidiato da tutte le altre signore del nostro quartiere.

La perfezione è mio padre con il suo lavoro nella società più in voga degli ultimi dieci anni, con il comportamento da marito ubbidiente e da padre sempre presente nella vita della sua unica figlia.

La perfezione sono io con i miei capelli sempre in ordine, il fisico sempre in movimento, la mente sempre attiva e la figura sempre sorridente.

La perfezione sono io: il frutto generato da due persone che, per essere sempre sulla bocca di tutti, hanno creato e gestito la vita di un essere umano a loro piacimento.

La perfezione sono io.

Ma la perfezione non esiste.

E se essa non esiste, ciò vuol dire che io non esisto.

Non sono mai esistita in questo mondo, non per davvero.

La perfezione è la maschera che richiede il mondo per affrontare una vita che, da un momento all'altro, è pronta a farti fuori.

Abbasso gli occhi sul pavimento e osservo con indifferenza le scarpe che fasciano i miei piedi e mi permettono di camminare con comodità.
Reprimo un altro brivido di disgusto diretto al miei genitori quando mi soffermo a pensare agli indumenti che indosso in questo momento e a tutti quelli che ho portato con me nelle due valige che in questo momento staranno imbarcando. Vestiti scelti appositamente per me e per la figura che hanno costruito su misura per i loro scopi.

Sei luce anche se pioveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora