3. Adesso capisco perché le persone non vogliono riflettersi allo specchio.

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Non ho mai capito le persone che odiano il proprio riflesso allo specchio. Non le ho mai capite, fino ad adesso.

Ho sempre avuto una grande autostima di me stessa.
Venivo continuamente seppellita da complimenti da parte dei miei genitori, da parte del mio ex fidanzato, da parte della mia ex migliore amica e da tutte le persone che incontravo sul mio cammino.

Ancora oggi sento il sapore di quei complimenti sulla punta della lingua. Hanno sempre avuto un sapore zuccheroso ma con un retrogusto amaro. Un retrogusto che ho sempre cercato di mascherare e di nascondere mostrandomi sempre migliore, per ricevere nuovamente la scarica dolce dei complimenti delle persone.

Non ne avevo mai abbastanza.

Ho imparato a non averne mai abbastanza.

«Ricorda Zarah: la gente si circonda di persone per bene e tu non vuoi rimanere da sola, giusto?»

Ho imparato a non saziarmi delle attenzioni, anche quelle negative che mi rivolgevano le persone invidiose di me, del mio aspetto e della vita adagiata che ho sempre avuto.

Mi alimentavo di quelle attenzioni, perché fin da quando ero piccola avevo sempre avuto il timore di non essere abbastanza per gli altri e, soprattutto, di ritrovarmi
da sola.

Ritrovarmi da sola ad affrontare la delusione da parte della mia famiglia, il disgusto da parte delle altre persone e, principalmente, di ritrovarmi ad affrontare una vita che mi avrebbe schiacciata senza ripensamenti.

Anche se avevo solamente cinque anni, conoscevo ciò che la vita poteva importi se non risultavi idonea ai suoi standard. Conoscevo la potenza del peso che avrei dovuto portare addosso. Lo conoscevo perché i miei me lo avevano sempre fatto pesare, assaggiare, con esempi che mi hanno segnata a vita. E non volevo assolutamente dover affrontare tutto ciò.

Quindi mi cibavo delle briciole che gli altri mi buttavo per terra. Mi bramavo di tutto quel cibo per rimanere sempre al passo, per rimanere sempre in vita.

Non ho mai capito le persone che odiavano specchiars1.

Non ho mai capito le persone che si rifiutavano di osservassi.

Non le ho mai capite, fino ad adesso.

Osservo la mia figura riflessa allo specchio.
Con gli occhi passo in rassegna le mie mani che toccano con attenzione ogni forma del mio corpo.

Osservo le mie dita fermarsi ai lati del mio bacino, stringersi ad esso e rabbrividisco quando le sento sfiorarsi, di poco, tra di loro.

Le serro in due pugni e continuo il mio esame.

Il mio seno è fasciato da un reggiseno di buona fattura ma non è quello che mi porta disgusto. Sono le ossa della clavicola che sporgono in rilievo a farmi tremare da testa a piedi. Le braccia troppo fine e lo spazio enorme che ho tra le gambe mi confermano il fatto che, per colpa dei consigli di mia madre, io sia uno scheletro vivente.

Per colpa dei suoi sussurri, senza accorgermene, mi sono trasformata in una ragazza che per gli altri può incarnare interamente la perfezione. Eppure io mi sento un mostro troppo fragile.

Una lacrima scivola via e percorre il mio viso fino a fermarsi, traballante, sulla punta del mento. Precipita giù dopo qualche altro secondo di tentennamento, ma 10 non ci faccio caso perché mi focalizzo sul mio viso.

È la prima volta da anni che il mio volto non è coperto dal trucco, dalla maschera che mi ero costruita per avere sempre un aspetto più curato.

E la prima volta da anni che mi soffermo ad osservare le piccole lentiggini che ricoprono il naso come se fossero uno spruzzo di stelle in un cielo buio e tetro.

Sei luce anche se pioveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora