11. Colui che imprigiona un attimo di vita con una sola pennellata.

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Ho sempre pensato di essere troppo occupata per avere il tempo di focalizzarmi sui ricordi della mia vita.
Ed ho sempre pensato che i ricordi fossero una delle poche cose che potevamo richiamare alla nostra mente quando volevamo, cosi da avere il controllo su di essi.

Ma tutto ciò è estremamente falso.

Perché i ricordi sono bastardi.
Si, direi proprio che bastardi sia la parola giusta.

Bastardi perché i ricordi sono mascalzoni, fanno ciò che vogliono senza preoccuparsi delle conseguenze. Un po' come gli adolescenti di questa generazione, sempre pronti a fare festa senza delineare ciò che dovrebbero fare per realizzare per un loro futuro adeguato.

I ricordi sono attaccati, tra di essi e alla nostra parte visiva del cervello, da un filo. Un filo con un amo, esattamente come quello che utilizzano i pescatori. Però, al posto del verme per attirare la preda i ricordi si cibano delle nostre emozioni.
Quando si è tristi o felici essi, concordandosi con il cervello, si materializzano immediatamente davanti ai nostri occhi. Sono loro che hanno il potere di cambiare il nostro umore perché hanno il coltello dalla parte del manico.
Possono influire positivamente quando si è tristi per tirarci su di morale o negativamente quando si è felici per ricordarci che la felicità non fa per noi, che la felicità non la meritiamo.

È ciò che sta succedendo adesso.

I ricordi di una vita passata mi passano davanti uno dietro l'altro, alla velocità della luce.
Sono troppo veloci per osservarli da più vicino ma troppo lenti per far finta della loro presenza.
I ricordi di una quotidianità vissuta per troppo tempo si fanno sempre più oppressi e un malessere interiore comincia a diffondersi in tutto il corpo, portandomi a chiudere gli occhi di scatto, imprigionandomi nel buio.

La luce che filtra dal rosone cerca di penetrare attraverso le palpebre chiuse ma i ricordi continuano a scorrere cosi insistentemente da non lasciarmi scampo.

Perché mi fate questo?
Perché proprio adesso?

E questo ciò che urlo alla stanza vuota in cui mi sono rinchiusa con loro. Non ricevo risposta e questo non mi sorprende. Sembra ormai una routine: mi domando di tutto e in cambio non ricevo nulla.

Un fruscio alla mia sinistra mi ricorda di non essere sola. Apro gli occhi e alzo il viso verso l'alto, verso la finestra.
«È quasi il tramonto e prima che il sole ci abbandoni volevo farti vedere e provare una cosa».

Annuisco senza un vero motivo e mi alzo, ridando vita alle gambe intorpidite. Benjamin, al mio fianco, si stiracchia la schiena. Il movimento delle braccia distese verso l'alto porta alla maglietta che indossa ad alzarsi un po' sui fianchi e a rivelare un pezzo del suo corpo.
Un corpo non definito da linee pronunciate che presuppongono non un duro lavoro in palestra, ma semplicemente un corpo sano. Pelle comune, pelle che ho anch'io addosso, eppure tutto ciò mi fa arrossire senza un vero e proprio motivo.

Sposto lo sguardo e imbarazzata mi torturo le mani tra di loro.

«Pronta?»
E anche questa volta non apro bocca ma dò il mio assenso con un cenno del capo.

Giriamo l'angolo che abbiamo percorso prima per trovare questo posticino meraviglioso e ritorniamo alle scale. Le scendiamo uno dopo l'altro, lui per primo e io al suo seguito. Dopo pochi minuti siamo fuori dal garage.

«Perché in quel garage c'era quella bellissima finestra?» domando a voce alta.

«In verità non è sempre stato un garage. Tantissimi anni fa era la casa dei miei predecessori. Il soppalco era adibito per casa e di sotto, dove adesso ci sono tutti gli utensili e i macchinari, era la parte destinata al lavoro per la creazione e mantenimento dei vini».
Osservo l'andatura del suo corpo e mentre lo seguo, mi trovo ad intuire la nostra prossima meta.
«Mi sono sempre domandato perché ci fosse e non ho mai avuto una risposta certa, però ho supposto che anche qualcuno di loro amasse talmente l'arte da creare un qualcosa del genere».

Sei luce anche se pioveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora