2. Solo ora sto realizzando di essere da sola e di non capire più nulla.

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Atterrare in un posto sconosciuto e senza avere qualcosa o qualcuno come guida, non è la cosa migliore del mondo.

Ma nulla sarà mai irreparabile come le crepe della mia anima.
Nulla sarà così difficile da superare come la giornata di ieri.

Una giornata che è stampata nella mia mente, e lo sarà per sempre, con l'inchiostro indelebile. Perché non è stata una semplice giornata, ma la giornata.

C'è stato un solo preciso momento, nella mia vita, in cui mi sono chiesta chi fossi realmente.

E quel momento è arrivato in quella giornata.

Il pensiero si era insinuato lentamente, strisciando tra le crepe di dolore che io stessa mi ero autoinflitta per provare un'emozione. Una qualsiasi emozione in quel vuoto di apatia di cui ero prigioniera.
La domanda aveva strofinato i suoi artigli nei punti giusti, prima di intrufolarsi con tanta forza nell'amigdala: la parte del cervello che ha la funzione di fornire a ogni stimolo il livello giusto di attenzione, arricchendolo di emozioni finché non ne scaturisce il ricordo.
Ma quella semplice domanda non mi aveva scaturito nessun ricordo.
Nessun ricordo positivo.

È stato in quel preciso istante che un campanello d'allarme ha cominciato a suonare intorno a me. È stato in quel momento che la mia vista si è fatta più lucida e ogni mio senso si è sviluppato al livello massimo. È stato in quel momento in cui mi sono resa conto che finalmente respiravo il mondo.

Un mondo che sentivo estraneo sulla pelle. Lo sentivo opprimente perché anche lui, per la prima volta, fiutava il mio odore.
Lo riconosceva diverso. E in modo negativo.
Ho sentito le sue braccia prendermi e cullarmi stretta a sé. Man mano l'ho sentito stringere sempre più forte finché non ho capito che quello non era un abbraccio, ma bensì una morsa letale.
Mi aveva presa con sé per eliminarmi dal suo cerchio perfetto.
Ho combattuto.
Ho combattuto per liberarmi.
L'ho fatto con tutte le mie forze e solo all'ultimo ho capito che per depistarlo dovevo rimettermi sulla faccia la maschera della perfezione.
L'ho indossata con facilità, aderiva perfettamente alla mia pelle ma la sentivo pesante e stretta. Ero sicura che di li a poco l'avrei gettata via per poter riprendere fiato. Ma ho continuato ad indossarla, anche quando il laccio si tendeva sempre di più intorno al mio collo.
Anche quando la voglia di vivere si rifiutava di incanalarsi nel mio spirito.
È stato difficile andare in giro con accanto i miei due creatori e fare finta di nulla. È stato difficile ma sono riuscita a resistere.

E adesso sono qui.

Sono salva.
Sono in un posto nuovo, anche se per poco tempo.

Attraverso le porte d'uscita del Rogue Valley International Medford Airport e mi avvicino al limite del marciapiede per sporgermi e scorgere un taxi vuoto per me.
Alzo il braccio imitando le altre persone che, come me, cercano disperatamente un passaggio per arrivare alla loro meta finale.

In lontananza scorgo un ragazzo, poco più grande di me, aprire la portiera di un taxi, dalla parte del guidatore. Deglutendo la speranza che si insinua nella mia bocca, prendo le valige e con piccoli movimenti veloci cerco di farmi strada per andargli incontro.
«Sei libero?» domando schiarendomi subito dopo la voce, che risulta roca alle mie stesse orecchie.

Il ragazzo alza lo sguardo sul finestrino abbassato a metà e lo punta sulla mia figura, intenta a raggiungerlo di qualche passo.
«Posso salire?» indico i sedili posteriori con il dito indice.
«In verità ho finito il mio turno...» risponde grattandosi la testa e guardandomi con uno sguardo pieno di scuse.

Reprimo un'imprecazione e a labbra strette mi giro per tornare sui miei passi, ma la sua voce mi ferma prima ancora di compiere un movimento.
«Dove sei diretta? Se è qua vicino posso fare uno strappo alla regola.» Risucchio un respiro strozzato e reprimo il piccolo sorriso che cerca spazio sul mio volto. Non voglio cantar vittoria così presto.
Mi rigiro verso l'automobile e mentre mi avvicino al posto di guida, cerco il foglietto con il nome del paese dove sono diretta.
Appena le mie dita lo afferrano tra le mille cose nella borsa, glielo porgo.
«Sono diretta a...»
«Jacksonville!» urla eccitato quando legge la meta che devo raggiungere. «È dove abito io» mi rivela con un sorriso. «Sto andando proprio li. Sali, ti porto con me». Si slaccia la cintura di sicurezza e apre lo sportello per aiutarmi a mettere le valige nel portabagagli.
«Grazie» butto in un soffio, trattenendo ancora quel sorriso che vuole far capolinea sulle mie labbra.
In risposta mi fa cenno di salire nella vettura.

Sei luce anche se pioveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora