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"L'esercizio veniva come dicevo io!"
"Alex no, fidati. È l'unico esercizio su cui sono sicuro, è impossibile."
"Cazzi tuoi, poi vedrai quando prenderai un voto di merda."
Ethan e Alex stavano discutendo sul compito di fisica, che avevano fatto all'ultima ora.
Eravamo in cortile e io mi ero scocciata di sentirli parlare solo di questo.
"Ethan basta, per me ha ragione lui." risposi sorridendo ad Alex.
"Ecco, dai almeno la tua amica è intelligente."
Alex andava in classe con Ethan, ma erano amici fin dall'asilo.
Erano opposti, ma allo stesso tempo insieme funzionavano e si volevano un gran bene.
Ethan si allontanò per andare a salutare alcuni suoi amici e Alex iniziò a sussurrarmi qualcosa.
"Senti, ma per il suo compleanno? Organizziamo qualcosa?"
"Non vuole festeggiare?" domandai sorpresa.
"Ti stupisce? Ethan non ha mai voluto festeggiare un compleanno."
"Lo conosco da qualche mese."
"Beh allora te lo dico io. Non ha mai festeggiato, neanche una volta."
"Ma non festeggia con Angela?"
"Lei ha detto che avrebbe voluto festeggiarli in giorni separati, se Ethan si fosse deciso. Anche perché per la sua festa deve affittare un locale che per il 19 di febbraio è occupato. Io penso che almeno per i diciotto anni dovremmo organizzare qualcosa, anche se piccola."
"Per me va bene."
"Ti lascio il mio numero, pomeriggio ci vediamo e ne discutiamo,se ti va"
"Certo."
Ethan smise di parlare con i suoi amici e ognuno di noi tornò a casa.
A pranzo Mattia ci obbligò a guardare un film della Marvel.
"Papà a me non hai mai fatto mettere gossip girl però." disse Stella infastidita.
"A Mattia li fa mettere perché i film della Marvel piacciono anche a lui." rispose zia Serena ridendo.
"Beh non ci fate sentire nulla. Smettetela di parlare." Le interruppe zio.
"Ecco ascoltate papà e finitela!." ripeté Mattia.
"Ehi! Non puoi dare tu gli ordini." lo rimproverò zia.

Dopo pranzo raccontai a Stella la proposta di Alex.
"Si è vero, Ethan non ha mai festeggiato. Ma potrebbe essere comunque una bella idea. Semplicemente, non esagerate."
"E dove potremmo fargli una festa?"
"Secondo me, valutate se qualcuno ha una casa libera. Perché per affittare un locale non basteranno i soldi che metterete a testa. E poi dovrete comprare anche il cibo e la torta."
"Nessuno dei suoi amici ha la villa per le feste. Ce l'avevano solo Dominik."
"A proposito Lisa.."
"Cosa?"
"Io e Mirko ci stiamo riprovando."
"Stella ma sei pazza!"
"Per favore,fammi spiegare."
Decisi di farla parlare con la consapevolezza che nessuna giustificazione sarebbe stata valida.
"Mirko non stava passando un bel periodo. Lo ha ammesso, e mi ha anche chiesto scusa. Sono mesi che sta provando a rimediare e sta cercando di fare tutto ciò che mi rende felice. Ha iniziato ad andare in terapia e dice di stare meglio. Mi ha promesso che non lo farà più."
"Quindi adesso siete nuovamente una coppia?"
"Ci stiamo vedendo di nascosto. Nessuno lo sa. Sei la prima persona a cui lo sto dicendo. Devo trovare il momento giusto per dirlo alle altre persone."
"Stella io non condivido assolutamente questa tua scelta perché è una persona tossica, ma non posso impedirti nulla, anche perché continueresti a vederlo come hai fatto finora. Imparerai a tue spese."
"Lisa scusami eh, però tu non lo conosci affatto. Lo hai visto qualche volta mentre litigavamo e ti sei fatta una brutta idea su di lui. Ma lui non è solo questo."
"Non mi interessa, possono anche farlo santo, se un uomo alza le mani bisogna allontanarlo."
"Io non sono d'accordo, ha capito i suoi errori."
Mi alzai e tornai in camera mia, quella conversazione mi stava dando particolarmente sui nervi.
Più tardi Alex e io ci incontrammo in un bar.
Sembrava davvero carino, era uno di quelli con le pareti in panna e tante foto attaccate sul muro. Era pieno di tavolini, muniti di menù e listino prezzi.
Ordinammo qualcosa da bere e mi spiegò cosa aveva intenzione di fare.
"Non abbiamo un posto in cui festeggiare." dissi ripensando alle conversazione avuta precedentemente.
"Nemmeno nel suo garage?"
"Ma il garage è piccolo, ci sono tutti gli strumenti."
"Facciamo una cosa, ho dei parenti che hanno un locale, non è il più bello di Roma ma è abbastanza grande la sala, mi farebbero un buon prezzo. Chiediamo agli invitati di mettere 10 euro a testa e li paghiamo con quelli. La torta gliela compro io."
"Se per te va bene, io chiederei ad Angela, sicuramente vorrà contribuire."
"Certo."
"Da quant'è che siete amici voi?" domandai curiosa.
"Da anni. Io ed Ethan abitavamo alle palazzine, o meglio, io ancora abito lì. I suoi adesso stanno meglio economicamente e hanno deciso di cambiare casa. L'ambiente li non era dei migliori. Ma i nostri genitori sono ancora molto amici."
"Siete cresciuti assieme quindi."
"Già. Per me è come un fratello, è stato il mio primo amico. Mangiavamo dallo stesso piatto. È sempre stato la mia spalla destra, è un legame che non potrei mai creare con nessun altro. Per me è sempre stato un modello."
"Cioè?"
"Cercavo sempre di essere come lui,poi i miei spesso mi facevano notare che fosse migliore di me, insomma, più bello, più spigliato, più bravo a scuola. Il figlio perfetto."
"Da quello che mi racconta i suoi non lo vedono così però, insomma credo abbia dei problemi anche lui."
"Si, ma io ho sempre voluto essere come lui."
"Devi essere te stesso, non puoi aspirare ad essere come qualcun altro. Non siete la stessa persona."
"Già, scusa se ho preso questo discorso."
"Ma no. Mi fa piacere parlare con te, sembri molto simpatico."
"Tra te e lui c'è qualcosa?"
"Perché? Ti ha parlato di me."
"Intuito. Non lo vedevo vicino ad una ragazza da un po'. Sembrate molto legati."
"Già."
"Quindi ti piace."
"Si. Molto. Sto bene con lui. Ma questo già lo sa."
"Credo che tu piaccia molto anche a lui." rispose sorridendomi.
"Ascolta Elisabeth, io avrei da fare. Ci vediamo a scuola."
"Certo, e grazie."
"Di nulla. A domani!"

Il giorno seguente c'era l'interrogazione di italiano. Il prof incuteva timore a tutti.
Era un uomo di mezza età, capelli lunghi e brizzolati, occhi celesti.
Alcune mie compagne di classe dicevano che da giovane fosse proprio un bel ragazzo, ma anche allora era ancora un bell'uomo.
Ma i suoi modi, la sua voce, la sua precisione, il suo essere severo pignolo e insaziabile mi facevano tremare appena suonava la campanella della sua ora.
Entrò velocemente in classe e posò per terra il borsone in cuoio, poi si sedette.
"Oggi ci sono le verifiche. Giusto?"
I più coraggiosi annuirono alla sua domanda, gli altri si limitarono a rimanere in silenzio. Io e Angela eravamo tra quelle.
"Ferrari?"
Sussultai appena pronunciò il mio cognome. L'impulso era quello di nascondermi sotto al banco a gambe incrociate e non uscire mai più, ma purtroppo mi sarei dovuta arrendere al mio tragico destino.
Angela mi afferrò la mano stringendola forte.
"Puoi farcela" sussurrò.
"Si?"risposi al professore con voce tremante.
"Alzati, vieni alla cattedra."
Mi alzai e lentamente mi avvicinai alla cattedra.
"Dunque, non ti ho mai sentita oralmente. Abbiamo fatto verifiche scritte finora, ma, vi annuncio che le prossime saranno tutte orali. Tu sei la ragazza nuova, giusto?"
Mossi il capo per annuire.
"Bene, allora mi parli di Parini."
"Parini nacque nel 1720 in Brianza."
"1729."
"Si. Giusto. 1729"
"Fu uno scrittore molto influente in quegli anni, perché era un esponente del.."
"Senti, ti interrompo un attimo. Puoi andare direttamente alle opere?"
Rimasi in silenzio. Il mio cervello aveva smesso di collaborare. Non ero riuscita a studiare, e i miei neuroni si erano catapultati in un vero e proprio viaggio alla ricerca di informazioni di una lezione avvenuta settimane fa.
Ma purtroppo in quel momento l'unica cosa che avevo in testa era la canzone passata alla radio qualche ora prima.
Mi sentivo osservata. Ero in piedi davanti alla cattedra, tutti avevano lo sguardo fisso su di me, e io non stavo proferendo parola.
"Per me può bastare così."
"Prof, mi faccia altre domande."
"Se non sai qual è l'opera più importante come puoi fare una buona interrogazione? Vai a posto Ferrari."
"Quando hai cambiato scuola, avresti dovuto cambiare anche indirizzo. Siamo in un liceo classico. Pretendiamo da voi massima serietà e massima preparazione."
"Prof, scusate..."
"Non mi importa delle tue scuse. Siete un ammasso di scansafatiche. Ci mancavi solo tu in questa classe di asini."
Quelle parole mi ferirono particolarmente, scoppiai in lacrime e decisi di uscire fuori senza neanche chiedere il permesso.
Il prof fortunatamente non mi mise alcuna nota, anche se nella lezione successiva mi minacciò, dicendomi che se fosse accaduto nuovamente lo avrebbe fatto.
Entrai in bagno, chiusi a chiave e mi accasciai a terra iniziando a piangere a dirotto.
Proprio in quel momento si innescò una rabbia dentro di me. Non era una rabbia sana.
Avevo così tanto rancore verso me stessa che sentivo la necessità di punirmi.
Iniziai a guardarmi intorno per cercare qualcosa di affilato, qualcosa che potesse farmi male, che potesse farmi provare il dolore che meritavo. Ma non c'era nulla.
Così, avvicinai il braccio alla mia bocca ed iniziai a morderlo forte, finché non gridai leggermente dal dolore.
Non sapevo perché lo avessi fatto, era stato naturale, istintivo. Era stato come andare in bagno. Era un bisogno, una necessità.
Abbassai la manica della felpa e improvvisamente qualcuno bussò alla porta.
"Lisa, sono io, Angela. Puoi aprire?"
Lentamente mi alzai e tolsi la sicura dalla porta.
"Cazzo, mi hai spaventa, tutto bene?"
disse sedendosi accanto a me.
Mi limitai ad annuire senza dire nulla.
"Senti, qui fuori c'è anche Manuel. È preoccupato, vieni che vuole vederti."
"Ma non dovrei tornare in classe?"
"No. C'è l'ora di religione. Abbiamo spiegato alla prof che avevi bisogno di un minuto per riprenderti."

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