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Step one, you say
"We need to talk".

Prima giornata:

La mattina mi svegliai quando Dylan salì sul letto, sedendosi tra me e Emma, che dormiva beatamente nonostante i mugolii del cucciolo, che voleva uscire. Presi il cellulare, che segnava le cinque del mattino da poco passate. Dalla porta finestra il cielo era dipinto di colori chiari.

Mi alzai subito, prendendo il telefono per scattare qualche foto al panorama. Il sole non era ancora sorto, e se mi fossi data una mossa, sarei potuta essere in spiaggia giusto in tempo per vedere il sole sorgere sopra l'orizzonte dell'oceano.

Sopra al pigiama, una canottiera in cotone e un pantaloncino del medesimo materiale, indossai un cardigan lungo, bianco. Mi sciacquai il viso per riprendermi dal sonno, e uscii dalla stanza, non svegliando Emma.

Il corridoio era vuoto e silenzioso. Il rumore delle mie infradito riecheggiava nell'hotel, mentre Dylan mi camminava accanto. Scesi nella haul, prendendo l'ascensore, salutando con un sorriso il receptionist, che indossava una maglietta rosa con dei fenicotteri.

- Hola chica - esclamò l'uomo, soffiandomi un bacio. - El sol está a punto de salir, corre a la playa - aggiunse, e anche se non capii cosa mi avesse detto, gli sorrisi, sperando che non mi avesse fatto nessuna domanda.

Uscii dall'hotel, sentendo subito l'aria fresca della mattina colpirmi il viso. Camminai in silenzio, con le mani in tasca, per qualche minuto, percorrendo la cittadina vicino. Qualche bancarella che vendeva succhi di frutta e cocktail esotici stava iniziando ad aprire, con una leggera musica di sottofondo.

I negozi erano ancora chiusi, ma mi fermai a guardare le vetrine, che esponevano gioielli colorati, costumi altrettanto allegri, e oggetto tipici messicani. Avrei tanto voluto comprare tutti quei gioielli, fatti principalmente con le conchiglie.

Scattai qualche foto alle vie della città, così tipiche e colorate, alle persone ai lati della strada che iniziavano la loro giornata e ai fiori rigogliosi nei vasi. Quella città esplodeva di vita e di colori sgargianti.

Raggiunsi la spiaggia, credendo di essere sola, ma già alle cinque e quaranta del mattino, alcune persone correvano sul bagnasciuga e venivano allestiti i chioschi di bevande. Mi sedetti su un tronco, mentre Dylan corse per la spiaggia, bagnandosi le zampe nell'acqua.

L'alba che stava lentamente risplendendo mi scaldò il cuore. Il sole che saliva lentamente era segno dell'inizio di una nuova giornata, che, indipendentemente da tutto, aveva superato il giorno prima, lasciandoselo alle spalle. L'alba era segno di rinascita, di vita.

- Olivia, sei tu? - una voce proveniente dalle mie spalle mi fece voltare. Alexander Bublik se ne stava in piedi, con indosso solo un pantaloncino e una fascia per tenere indietro i ciuffi di capelli.

Il suo fisico era cambiato molto dall'ultima volta che lo avevo visto. I muscoli salutavano all'occhio, così come i molteplici tatuaggi, specialmente sul suo braccio sinistro. Dalla sua fronte grondavano gocce di sudore, e la sua pelle era lucida, imperlata anch'essa di sudore.

- Alexander, che piacere rivederti - sorrisi. L'ultima volta che lo avevo visto era stato due anni prima, durante una partita a Seattle. - Già attivo alle sei di mattina vedo -

Il ragazzo sorrise e prese posto accanto a me. - Inizio gli allenamenti alle otto, volevo farmi una corsa e vedere l'alba paradisiaca qua in Messico, e approfittarne per bere qualcosa di fresco - mi disse.

Curls in the darkness || Riccioli nell'oscurità Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora