Capitolo 4

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Nel frattempo, Angel Dust si trovava ancora nello studio opulento di Valentino, circondato da luci e telecamere, pronto per un'altra estenuante sessione di riprese.

Lo studio, con le sue pareti ricoperte di velluto rosso e i riflettori che proiettavano ombre minacciose, era un luogo che Angel conosceva bene. Ma nonostante la familiarità, ogni volta che entrava lì, un senso di disagio e di paura lo avvolgeva.

Valentino era lì, seduto su una sedia di pelle nera, osservando tutto con un'espressione di gelida indifferenza.

Le riprese erano iniziate, ma quel giorno il signore supremo era di umor nero, dato che era bastato un piccolo errore per scatenare la sua furia.

"Cosa stai facendo, Angel? Sei inutile!" aveva gridato, la sua voce penetrante echeggiava nello studio.

Dopo quelle parole, Angel aveva sentito un nodo formarsi nello stomaco. Aveva cercato di giustificarsi, di spiegare, ma Valentino non era interessato alle spiegazioni.

Si era alzato dalla sua sedia e si era avvicinato a grandi passi, ogni movimento carico di rabbia.

Angel aveva cercato di mantenere la calma, ma le sue mani tremavano.

Valentino lo aveva afferrato per il collo e lo aveva sbattuto contro il muro con una forza che gli aveva tolto il fiato.

"Non riesci a fare niente di giusto, vero?" aveva sibilato Valentino, il suo volto a pochi centimetri da quello di Angel.

Il primo pugno era arrivato improvviso, diretto al viso di Angel.

Quest'ultimo aveva sentito un dolore lancinante esplodere nel naso, e un fiotto di sangue caldo era iniziato a scorrere. Valentino continuava a colpire, ogni pugno un'esplosione di dolore. Angel non riusciva a difendersi, non riusciva nemmeno a parlare. Le parole si fermavano nella gola, soffocate dalla paura e dal dolore.

Mentre Valentino lo colpiva, Angel sentiva una parte di sé spezzarsi. Non era solo il dolore fisico, ma la realizzazione che non poteva fare nulla per fermarlo. Nonostante tutto questo, lui lo amava, in un modo distorto e disperato, e questo amore lo rendeva incapace di reagire. E poi c'era il patto, quel legame indissolubile che lo teneva incatenato a Valentino. Non poteva liberarsi, non poteva combattere.

Dopo un tempo che era sembrato infinito, Valentino si era fermato. Angel era a terra, il corpo una massa dolente e tremante. Il sangue gli colava dal naso, macchiando il pavimento sotto di lui. Ogni respiro era un'agonia, ogni movimento una tortura. Gli arti erano così deboli che non riusciva nemmeno a sollevarsi.

Mentre giaceva lì, i suoi pensieri erano un vortice di disperazione. Voleva sparire, dissolversi nel nulla. Non riusciva a pensare a un modo per sfuggire a quella sofferenza, e l'idea di un futuro accanto a Valentino lo terrorizzava. Non c'era via di scampo, non c'era speranza. Voleva solo chiudere gli occhi e non aprirli mai più, scomparire in maniera definitiva.

Valentino lo guardava dall'alto, gli occhi freddi e privi di empatia. "Alzati, Angel. Abbiamo ancora un sacco di lavoro da fare," aveva detto con voce gelida e noncurante.

Ma Angel non riusciva a muoversi. Ogni fibra del suo essere gridava per il dolore, e il suo cuore era spezzato.

In quel momento, l'unico desiderio di Angel era quello di sparire, di fuggire da quella vita di abusi e dolore. Ma sapeva che non era possibile. Era legato a Valentino, incatenato da un amore malato e da un patto indissolubile. E così, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore in frantumi, era rimasto lì, aspettando che l'agonia finisse.

Valentino, vedendo che il suo miglior dipendente non riusciva più a reggersi in piedi, si era avvicinato di nuovo e, afferrandolo con forza, lo aveva scaraventato senza pietà sul letto dove solitamente faceva le registrazioni, pronto per un nuovo ciak come se nulla fosse accaduto. I pochi presenti nello studio erano rimasti immobili, sconvolti dal trattamento riservato ad Angel e dalla crudeltà di Valentino, che sembrava crescere in lui di giorno in giorno.

Intanto

All'hotel, Husk stava ancora intrattenendo a malincuore e con poca voglia, una conversazione con Alastor. Tutte le volte che lo osservava negli occhi, non poteva non vedere un essere senza cuore, che lo aveva ingannato e spinto a perdere tutto il suo potere da signore supremo. Adesso non era altro che un semplice animaletto da compagnia. Husk odiava essere etichettato tale, ma in quel momento non riusciva a definirsi in un altro modo.

La hall dell'hotel era momentaneamente deserta.

Pentious e Niffty erano saliti al piano superiore e avevano iniziato a giocare insieme a nascondino, mentre Charlie e Vaggie erano impegnate con l'organizzazione dell'hotel e il piano per attivarlo in modo definitivo.

Husk in quel momento avrebbe preferito trovarsi altrove.

Ma sapendo che la sua vita era gestita da un essere interamente vestito di rosso che lo teneva legato ad una stupida catena verde... i piani di fuga erano fuori discussione.

"Che cosa stai cercando di dirmi, brutto figlio di puttana?" aveva domandato Husk, con le palpebre che si stavano facendo pesanti e il fiato abbastanza corto.

Come sempre, sorseggiava da una bottiglia di whisky mentre poneva la sua attenzione al suo capo.

Alastor si era tolto della polvere dalle spalle e dando un colpo al pavimento con il suo bastone si era dunque deciso a parlare.

"Vedi amico mio, in tutta la tua permanenza in questo grazioso hotel mi sono reso conto quanto tu sia cambiato! Soprattutto se parliamo di una persona in particolare... ti dice niente il nome Angel Dust?" aveva domandato Al, cogliendo di sorpresa il nostro povero demone gatto, al quale era appena andato di traverso il whisky e adesso si trovava in preda a terribili attacchi di tosse.

"Oh vedo che hai le idee chiare micio micione!" aveva esclamato ancora una volta il demone della radio, allargando ancora di più il suo solito sorriso.

"Non so di che cosa stai parlando" aveva detto velocemente Husk, cercando di non guardare mai il suo capo negli occhi.

Purtroppo, gli occhi dicevano sempre più delle parole.

"Mmh" aveva proseguito Alastor, come se stesse trattenendo un potente ghigno.

"Che cosa mi riserva il piacere del tuo interesse, mio caro amico Husk?" aveva interrogato Alastor con un sorriso sornione, mentre l'etichetta di "amico" scivolava dalle sue labbra con un'eleganza beffarda e sconcertante.

Husk, già stanco delle enigmatiche divagazioni di Alastor, sentiva crescere in sé una profonda antipatia verso gli indovinelli del demone radiofonico, quei puzzle senza soluzione che lo facevano sentire sempre più smarrito.

Intrappolato tra la tentazione di rispondere alle provocazioni di Alastor e il timore della maledetta catena che lo legava a un patto oscuro, Husk taceva, consapevole che una parola di troppo avrebbe potuto condurlo nuovamente sotto il suo giogo.

Alla fine, però, aveva deciso di continuare la conversazione.

"Mi chiedo, se il tuo interessamento sia dovuto a causa dell'attività di Vox che sta abbastanza crescendo... per caso sta destando in te qualche preoccupazione?" aveva sussurrato Husk con un filo di malizia, sperando di irritare Alastor senza rischiare di attirare la sua ira contro di lui.

La risata sonora di Alastor era risuonata nell'aria, come un'eco sinistra proveniente da un'altra dimensione, mentre si avvicinava con fare teatrale a Husk.

"Le macchinazioni di quel povero Vox non possono nulla contro di me. Tuttavia, devo ammettere che non ti sei allontanato più di tanto dal cuore della questione con la sua evocazione," aveva svelato il demone della radio, catturando l'attenzione di Husk con le sue parole misteriose.

Husk, colto di sorpresa dalla rivelazione del signore supremo, aveva avvertito un brivido di apprensione scorrergli lungo la schiena. Non era abituato a sentir nominare i nemici del suo capo con tanta disinvoltura.

"Ti prego, continua," aveva supplicato Husk, la preoccupazione dipingendosi chiaramente sul suo volto.

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