«io credo che dovremmo chiamarli» ribattei sentendolo sospirare rumorosamente
Erano passati due giorni da quella notte e come immaginavamo non poteva andare rosa e fiori per sempre. Ormai era passato quasi un mese dal nostro arrivo qui in Marocco e il mio costante pensiero ero sempre quello di contattare i ragazzi per fargli sapere che stavo bene.
«per dirgli cosa? farli venire qui anche loro a morire?» mi guardò cercando di mantenere la calma
Rafe finora era stato davvero troppo buono con me, la sua astinenza stava arrivando al limite.
«ma hanno il diritto di sapere che sto bene» lo guardai, sapevo lui non avesse nessuno da chiamare eppure aveva me lì con lui
«JJ deve» feci per parlare
«JJ, JJ, è sempre JJ di cui finiamo a parlare» sbottò dando un calcio alla sedia
«io lo vedo come lo guardi, come vi guardate» rise amaramente dando un secondo calcio alla sedia in legno
«cosa ti passa per la testa Rafe? io e te non siamo nulla» sputai con cattiveria
I suoi occhi si posarono su di me mentre nella mia testa elaboravo ciò che avevo detto.
«hai ragione, io e te non siamo nulla e mai potremmo esserlo» si avvicinò a me in pochi passi
«sarai anche brava a scopare ma sarai sempre una sporca pogues» gli tirai uno schiaffo
«e tu resterai il solito schifoso Rafe Cameron»
I giorni passavano e io e Rafe non parlavamo molto, dall'ultima volta continuavamo ad ignorarci come dei ragazzini. Il cielo quel giorno era grigio e l'aria era strana, pesante. Dovevamo andarcene da quel paese al più presto.
«vado a fumare» lo avvisai alzando gli occhi al cielo quando non disse niente
Accesi la sigaretta e il fumo mi diede inspiegabilmente la nausea, avevo un orribile sensazione allo stomaco che si triplicò quando notai delle grandi auto nere parcheggiate al di sotto del motel, senza neanche arrivare a metà del tabacco rientrai dentro la stanza.
«sono qui sotto, siamo circondati» si alzò in piedi con uno scatto andando a controllare verso la finestra
«cazzo» si portò le mani ai capelli
«cosa facciamo?» gli domandai sempre più preoccupata
Sentivo i passi pesanti salire dalle scale e sapevo che da un momento all'altro sarebbero entrati, seguì Rafe all'uscita di emergenza e prendemmo a correre verso il bosco. L'aria mi mancava e sentivo che loro erano dietro di noi a pochi passi di distanza. La sua mano si allungò verso di me e l'afferrai come se fosse la cosa più sicura in questo mondo. Senza neanche pensarci corremmo verso quella che sembrava una fabbrica abbandonata. Arrivammo all'ultimo piano stanchi e assetati, osservai il viso rosso del ragazzo al mio fianco e mi avvicinai a lui per sentirmi più sicura.
«Cassie Jones e Rafe Cameron uscite fuori» urlò una voce che sembrava esser davvero molto vicina a noi
«nessuna mossa azzardata, siete circondati» trattenni il respiro
«cosa cazzo facciamo?» lo guardai non riuscendo a farmi venire nessuna idea in mente
«ti fidi di me?» guardai i suoi occhi, era diverso, non era lo stesso Rafe Cameron che avevo conosciuto anni fa e con cui avevo a che fare alle Outer Banks
«non ci pensare neanche» gli bloccai il braccio fermandolo dalla sua malsana idea
«è l'unico modo per scappare» quasi urlò
«moriremo entrambi così» fui io ad urlare questa volta
«allora ascoltami» stavo davvero per dirglielo?
«lui è me che vuole»
«no» asserì con decisione senza neanche farmi continuare
«ascoltami» gli afferrai le spalle
«so che non abbiamo mai avuto un buon rapporto, che mi odi e so che non te ne frega un cazzo di me, ma uno di noi deve tornare a casa e chiedere aiuto» i suoi occhi scorrevano velocemente su di me incapaci di affrontare quella situazione
«restare n idue è inutile e se nessuno scappa moriremo qui e io non voglio morire» e non volevo che lui morisse
«quindi alza quel tuo culo da questa merda di posto e corri il più lontano possibile»
Le sue labbra si posarono sulle mie in una mossa inaspettata, la sua grande mano accarezzava il mio volto come per chiedermi scusa ma io sorrisi.
«verrò a prenderti» posò la fronte contro la mia accarezzandomi una guancia in una mossa dolce
«ed io ti aspetterò»
«Cassie Jones e Rafe Cameron» urlò nuovamente la voce stavolta seguita da pesanti passi
«vai» lo spintonai ma si voltò verso di me per guardami, corsi leggermente verso di lui e gli posai un secondo bacio
«corri e resta vivo» lo vidi saltare dall'impalcatura e disperdersi tra gli alberi
«uscite fuori»
La voce continuava ad urlare e ormai erano arrivati sul nostro stesso piano, esitai, volevo dargli tutto il tempo necessario per riuscire ad arrivare sempre più lontano.
«ci sono decine di uomini pronti a sparare, non è una decisione difficile ragazzi» udì il rumore del caricatore
«uno»
Afferrai la prima pietra e stringendo i denti mi provocai dei graffi sul viso e sulle braccia.
«due»
«fermi» urlai, mi alzai dal pavimento e a piccoli passi uscì dal mio nascondiglio
«non sparate» li pregai con voce tremante
Adesso toccava a me, l'efficienza di questo piano si basava completamente sulle mie abilità nel mentire.
«dov'è il tuo amico?»
Gli occhi si iniziarono a fare lucidi e tirai su col naso.
«mi ha lasciato qui, sapeva che volevate me ed è tornato indietro» guardai l'uomo grande e grosso davanti a me
«io non ho fatto niente, mi aveva promesso una vacanza» li guardai disperata
«trovatelo»
L'uomo alto e muscoloso mi osservava con pena, il suo viso sembrava dolce ma i suoi occhi lo descrivevano come il diavolo in persona, dei brividi percorsero la mia schiena quando il suo sguardo si posò su di me.
«alzati» in pochi passi arrivò davanti al mio corpo minuto rispetto il suo
«se non ti opponi non succederà nulla» lo guardai ed annuì in silenzio
Mi obbligò a camminare lentamente con le mani dietro la schiena, la canna del mitra puntava la mia testa e sotto gli occhi di tutti quegli uomini salì in auto con loro. Guidarono per non so quando e nell'esatto momento in cui mi voltavo per vedere dove fossimo i fucili venivano rivolti verso di me. Soltanto quando misi piede nell'enorme giardino della villa riuscì a guardarmi intorno. Sentinelle ovunque e un grande muro che divideva l'abitazione dal il resto del mondo. L'entrata era spettacolare, mozzafiato, ma un senso di nausea mi salì allo stomaco quando ricordavo che gente come lui era riuscita a creasi tutto questo attraverso le pene e i soldi di gente come mio padre.
«seguimi» parlò duramente l'uomo
In silenzio e con due cani alle spalle seguì l'uomo sulla grande scalinata in marmo, entrai in una stanza e lo osservai fermarsi al suo interno.
«sarà la tua stanza durante la tua permanenza» ingoiai il groppo alla gola
«non so cosa tu abbia di speciale ma il capo ti ritiene una risorsa essenziale per la sua merce» aggrottai le sopracciglia mentre l'uomo scrutava avidamente il mio corpo
«non parlare e soprattutto non dare fastidio, ci saranno sempre due guardie fuori la tua porta quindi non provare mai a scappare o ti faremo saltare la testa» si avvicinò fin troppo a me costringendomi ad alzare totalmente la testa
«va bene, grazie» gli sorrisi educatamente
L'uomo mi scrutò quasi infastidito dalla mia area beffarda ma per quanto avessi paura dovevo fargli capire il contrario, dovevo fingermi un innocente ragazzina truffata da un ragazzo, era ora che tutte le dritte e le sceneggiate di JJ fossero d'aiuto. Chissà cosa stavano facendo e chissà se mi stavano pensando, ormai è passato un mese da quando siamo spariti oltre il confine americano e un mese da quando ho iniziato veramente a comprendere Rafe Cameron.
«fatti una doccia e scendi giù in sala da pranzo, il capo vuole conoscerti» trascinò con forza la porta che poi chiuse a chiave
Restai a fissare la serratura per un tempo indefinito prima di svegliarmi passandomi una mano sul viso, ero una pogues e i pogues non avevano mai paura.
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Die for you | rafe cameron
FanfictionI suoi occhi ghiaccio erano vita per me, una scarica d'adrenalina che ti colpiva improvvisamente la schiena, una bevuta tutta d'un sorso di vodka liscia, una surfata durante una tempesta, una corsa clandestina, una strada deserta illuminata soltanto...