La Jane Doe di Paris

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Paris, Contea di Henry, 2015, Tennessee.

Chi va a visitare Paris, a meno che non ci abiti, probabilmente lo farà per visitare i suoi parchi e percorrere i sentieri per passeggiate di cui va tanto famosa. Era l'obiettivo anche di due giovani innamorati, pronti a passare il primo dei tanti weekend che avrebbero condiviso insieme, decisi a renderlo una piccola vacanza indimenticabile.

Ma, oltre alla bellezza di Paris, di sicuro anche un'altra esperienza farà parte della loro memoria. Quella sera infatti, uno di loro chiamò il 911 per segnalare il ritrovamento di un corpo, abbandonato vicino a una baracca disabitata da anni e coperta di edera secca, proprio sul ciglio della strada.

Si trattava del cadavere di una donna, tra i venti e i venticinque anni come aveva stabilito la scientifica del luogo, aveva segni di tagli su braccia e gambe ed era stata strangolata con uno strano elastico verde e sottile. Lo stesso elastico era avvolto sui polsi e sulle caviglie, probabile segno di legatura.

Non era stata abusata, e il suo volto era stato sfregiato, trasformandolo in una maschera rossa e deforme, rendendo quella povera anima irriconoscibile. Proprio per questa ragione, e per ciascuno che non aveva effetti personali o documenti con sé, venne momentaneamente schedata come Jane Doe, e fu trasportata all'obitorio dove il medico legale potè eseguire l'autopsia e confermare la causa della morte come strangolamento.

Sulla spalla destra infine, troneggiava fiera e cattiva la sigla DL, incisa con forza da sporcare di sangue anche la manica strappata della camicetta.

Fu proprio quella sigla a spingere il dipartimento a chiamare la dottoressa Jill Roys, e magari ottenere informazioni più accurate. Quando Roys entrò nell'obitorio e si ritrovò davanti il cadavere della ragazza, non potè fare a meno di scuotere la testa, incredula di fronte a così tanta cattiveria.

«Allora dottoressa?» chiese il medico legale, di fronte a lei, «Che cosa mi dice?»
«Avete mandato le giuste informazioni, è una donna tra i venti e i venticinque anni, e questa è proprio la firma di DL.»
«I segni sul collo dimostrano che sia stata strangolata con un laccio gommoso e sottile, come vi avevamo detto, conferma?»
«Sì assolutamente, è proprio così. Posso vedere quel laccio?»

Il medico legale indicò un tavolo dove era ancora posto lo strano e gommoso elastico trovato sul corpo. Era imbustato e sigillato, ma non era ancora stato spedito al laboratorio per le dovute analisi. Roys lo prese in mano, stando molto attenta a non aprire la busta, e se lo rigirò tra le mani curiosa.

Non aveva la minima idea di che cosa fosse, non aveva mai avuto il pollice verde e per lei tutte le foglie potevano essere uguali. Non era il suo lavoro in fondo. L'elastico assomigliava a una piccola cannuccia molle, oppure a un tubo dell'acqua microscopico, ma nè il primo nè il secondo esempio le suggerirono la risposta.

«Ha idea di cosa possa essere dottore?»
«Forse, ma non sono un botanico, però ricordo che mia madre, grande appassionata di fiori e piante, ne aveva uno simile.»
«Quindi è uno strumento da giardinaggio?»
«Sì dottoressa.»
«Lo faccia analizzare, io vado a fare un giro di telefonate.»



***



L'attesa per le analisi durò circa mezza giornata, e la mattina dopo Roys potè conoscere l'identità di quella corda così bizzarra: si trattava di un laccio gommoso usato per legare le piante ai paletti nei vasi, permettendo loro di crescere dritte e impedendo al gambo di spezzarsi.

E siccome dalle indagini precedenti DL non era risultato compatibile con il profilo di un giardiniere, la dottoressa ipotizzò che quel laccio fosse della vittima, e che probabilmente era stata uccisa in un luogo diverso da quello del ritrovamento. Ma ancora una cosa non le era chiara: il corpo presentava segni di tortura, numerosi tagli profondi, ma la lama del coltello usato non le era affatto familiare, era più spessa del normale e tutta uguale, con degli strani segni incisi.

Quando tornò al laboratorio raggiunse subito il medico legale, e gli confidò i suoi dubbi: «Lei ha idea di che tipo di coltello sia?»
«Be', a giudicare dal contesto dell'omicidio, io non lo definirei un coltello dottoressa.» disse l'uomo grattandosi l'ispida barba, «Ci assomiglia però.»
«E cos'è?»
«Ancora non l'ho capito. Ma come ha detto lei, ha una lama particolare, diversa. Non è un coltello che si usa tutti i giorni.»
«E che non è alla portata di tutti.»

Roys guardò le foto delle ferite, del laccio prima che fosse rimosso e in generale quello che rimaneva di quella povera ragazza, e si accorse di alcuni grani di terra avvolti tra i capelli e attaccati ai vestiti: «Vede? La vittima ha del terriccio sopra, è stato già analizzato?»

«Sì, eccolo qua.» il medico le allungò il foglio con le analisi, «Non è lo stesso terreno del luogo del ritrovamento, è terriccio per vasi, e inoltre hanno anche trovato dei petali di primula tra i capelli oltre alla terra.»
«Davvero?»
«Sì, erano dietro la nuca, per questo nelle foto non sono visibili.»
«Terra, un laccio per piante e petali. La nostra vittima era una fiorista, lavorava o ha lavorato dentro un vivaio, una serra.»
«Però non ha ancora un nome. Abbiamo cercato nel database delle denunce di scomparsa, ma nessuna corrisponde alla nostra vittima. Ma a giudicare dalle ferite, che non sono tutte uguali, e dallo stato comunque ben tenuto del corpo, questa ragazza è scomparsa da almeno un paio di giorni.»
«E nessuno se ne è accorto?»

L'uomo scosse la testa affranto. Dio solo sapeva quante Jane Doe vi erano negli obitori di tutto il Tennessee, se non dell'intera America. Corpi di ragazze senza nome, morte da anni, e che nessuno sembrava riconoscere. Destinate a restare per sempre anonime e ricevere, a volte, un funerale povero, deposte in fosse comuni senza lapidi oppure donate alla scienza. Ragazze che un tempo avevano sogni, famiglia e desideri, come la loro vittima, spenta per sempre da un mostro senza cuore. Avevano provato anche con le impronte digitali, ma la ragazza non era schedata.

Roys fissò il collega assorto nei suoi pensieri, in attesa di ricevere istruzioni o di farsi venire da sola una nuova idea. Fece mente locale tra i ricordi dei suoi studi forensi, cercando una soluzione per identificare la vittima utilizzando i pochi elementi a disposizione, escludendo quelli ormai principali come impronte digitali e capelli.

Il killer di sicuro non si era preso il disturbo di prendere la sua borsetta o zainetto o qualsiasi cosa fosse abituata a portare, ammesso che avesse dietroqualcosa di simile, e d'altronde perché mai avrebbe dovuto? Il suo obiettivo era lei, era spargere il suo sangue, non certo memorizzare il suo indirizzo per offrirle la cena. Semmai esisteva una borsa, era rimasta nel luogo del delitto.

Si voltò verso il corpo della ragazza, ancora adagiato sul tavolino di metallo lucido e freddo, soffermandosi soprattutto sul volto sfigurato, vicino allo zigomo, dove parte delle labbra era stato tagliato via, lasciando visibile parte della dentatura non perfetta ma ben curata. E le venne alla fine l'illuminazione: le cartelle cliniche dei dentisti.

«Forse so come possiamo identificarla.»
«E come dottoressa?»
«Dobbiamo farle una lastra alla dentatura. Potremmo risalire alla sua identità tramite le cartelle odontoiatriche, me lo ha spiegato un professore quando studiavo ancora all'università.»

Fecero fare una lastra alla bocca della vittima mettendo in primo piano i denti, la stamparono alla massima qualità possibile e si recarono allo studio dentistico. La ricerca fu molto lenta, dovettero controllare tutte le cartelle presenti prelevando le lastre e controllando sul tavolo luminoso del laboratorio per vedere se coincidevano con quella che avevano loro.

Ma finalmente, dopo due giorni di ricerche, la dottoressa Roys e il medico legale videro la luce in fondo al tunnel, perchè una delle lastre combaciava perfettamente con quella della loro vittima. E non solo i denti, anche il sesso e l'età, e il nome che comparve ai loro occhi ridiede ufficialmente l'identità perduta al corpo sul tavolino dell'obitorio.

«Ci siamo riusciti, l'abbiamo trovata.»
«Sì, direi proprio di sì dottore. Le presento la nostra vittima: Amaya Morgan.»

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