Got a secret, can you keep it?

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Il ceo, per il quale il ragazzo dalla chioma verde-acqua lavorava, non era stato il solo padrone nella sua vita; a susseguirlo infatti, vi era sempre stato lo stress, l'unico fattore che avesse mai accomunato la mente di Yunho al suo corpo, eccetto per qualche evento sporadico. Mai avrebbe immaginato che quelle rette parallele si sarebbero incontrate nel bivio della quiete, la cui strada appariva oscura, poco calcata dall'esperienza del suo animo e per questo desolata, ma, nonostante l'aspetto ingannevole, il girovagare lungo il viale inesplorato fu dolce e terapeutico, quasi come il lento dondolio di una culla, che conduceva ad un profondo sonno, dal quale Yunho non aveva avuto intenzione di destarsi, se non fosse stato per un significante intensificare di un suono, che per lui era stato un'ulteriore coccola, ossia quello che pareva esser il battito del cuore di qualcuno.

Ogni impulso cardiaco rappresentava il richiamo del suo nome sussurrato direttamente all'entrata del suo orecchio e ad un ritmo da ticchettio di un orologio, le palpebre ascoltarono la richiesta, fino a spalancarsi ed a mettersi a nudo, con le proprie iridi. Queste ci misero un po' per abituarsi alla luce e a scrutare cosa avessero intorno. Ancora nella penombra dell'incoscienza, avvertì una fonte di calore contro la guancia paffuta e d'istinto gli venne da strusciarci la pelle sulla superficie, proprio come si fa quando ci si trova tra le coperte.

-Sei comodo? -

Delle vibrazioni andarono a concentrarsi direttamente nel punto in cui il giovane permaneva nello stato di dormiveglia, facendo oscillare quanto bastava i propri sensi per renderlo passivamente partecipe all'evento, svegliandosi una volta per tutte. Fu in quel contesto che focalizzò la camera in cui era, distinguendone oggetto per oggetto e capendo di non essere nella sua. Ciò lo riportò alla realtà ed a causa della mala sorpresa, voltò il viso di scatto, fino ad incontrare quello dell'ultima persona che avrebbe mai immaginato di vedere lì, accanto a sé.

-Tu! -

-Un grazie sarebbe gradito. - rispose. Mingi, dandogli un'occhiata dall'alto, per poi spingerlo con poca grazia dal suo petto, dopo averlo lasciato riposare lì per ore.

Il giovane dalla chioma verde-acqua perse facilmente l'equilibrio e si ritrovò scaraventato tra le lenzuola profumate della stanza. Portavano lo stesso odore del coetaneo e Yunho arricciò il naso a tale consapevolezza, che fortunatamente passò in secondo piano dato il forte mal di testa.

-Grazie? Io dovrei dirti e farti di tutto, fuorché ringraziarti. - disse il ragazzo in post sbornia, con salivazione azzerata ed il capo tenuto fra le mani.

Con quale coraggio gli stava dicendo quelle parole? Si stava prendendo gioco di lui per caso?

Mingi rise, mimando un no verso sé stesso, come se non potesse crederci. Venire usato per la millesima volta non era piacevole.

-Non la vedevi così, mentre mi imploravi di rimanere a letto con te, dopo averti salvato e trasportato in braccio qui. -

Il giovane non avvertì momentaneamente il minimo dolore, poiché ogni sua cellula era occupata a ripercorrere tutti i flashback che nacquero uno dietro l'altro: il sudore, dita sconosciute che toccavano la sua pelle, la sensazione di fastidio... la voce di Mingi. Yunho strabuzzò le iridi nere, non azzardandosi ad alzare lo sguardo dalla posizione attuale, ossia il pavimento. Non aveva la capacità di poter formulare un pensiero coerente con quello che stava accadendo o, meglio, che era accaduto. Lo aveva salvato, eppure provava una forte rabbia nei suoi confronti, comandata da un impulso elettrico che non cessava di fargli tremare il cuore. Probabilmente, quel sentimento era guidato da quello che aveva preceduto la scorsa notte. Voleva dire tante cose, desiderava esprimere un'immensità di concetti, però il suo cervello era costipato e bloccato. Era come avere dinnanzi a sé un enorme nodo di corde e non sapere da quale parte iniziare per scioglierlo. Inoltre, più si tastava alla ceca e si tirava, più il groviglio diveniva difficoltoso ed irrisolvibile. Come si può essere liberi, ma allo stesso tempo intrappolati? C'era una definizione per questa roba? Perché era così difficoltoso parlare di sé stessi? Il fatto di essere conscio di tale problema non aiutava la causa. Se ci rifletteva bene, non doveva essere l'unico al mondo a provare ciò. Quante volte, almeno una nell'esistenza di una persona, era stata rivolta la domanda "come stai?" E quel determinato individuo aveva pronunciato un "bene", mentendo, di fronte a tutto quello che aveva sopportato durante l'arco della giornata? Innumerevoli.

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