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Charles

Una meravigliosa, sorprendente, rosa rossa, dai petali sani e luminosi. Essi avvolgono tuttavia il proprio verso, una dissimulata poesia di parole graffiate, soffi spezzati, frasi meste, delicati veli scarlatti sciupati.

Lei era diventata il mio sbalordimento, il mio ammirare la bellezza, ascoltare una melodia, quella della sua voce pur stando in silenzio. Ma anche la mia possibilità di interessarmi davvero a qualcuno senza che possa essere da subito un libro aperto, perché con Yvonne dovevi metterti alla prova ed avere pazienza, decifrare il suo paradigma, quello della sua vita. Sapevo già che con costanza, cura, affezione, le cose sarebbero venute da se e a volte avresti anche dovuto agire per smuoverle, ma mai essere affrettato.
In poco tempo quella ragazza era riuscita ad essere tutte le mie domande, le mie preoccupazioni, parte delle mie sfide.

In fondo le rose portavano sullo stelo liscio la loro delicata arma di difesa; per proteggere i propri versi nascosti, comunicare agli animi quieti che per avvicinarle c'era bisogno di cautela, per poterne ammirare da vicino la loro unica condizione era necessario essere cauto.

Ero così preoccupato da aver agito d'istinto, la testa mi scoppiava al solo pensiero che qualcuno avesse potuto ferirla, renderla di nuovo così tanto vulnerabile ed impaurita, soprattutto. Perché anche se si ostinava a non parlarmi di qualsiasi cosa le stesse accadendo, del suo passato, anche io avevo compreso alla perfezione che quella slogatura non se l'era procurata da sé, per caso durante l'orario di palestra durante un'amichevole partita a pallavolo con i compagni.

Il giorno seguente non mi ero ovviamente preso la libertà di ascoltarla e lasciare che tornasse a casa da sola, a piedi, con la caviglia in quelle condizioni. Facendomi furbo ero riuscito ad estrapolare l'indirizzo della sua scuola leggendo la targhetta del suo zaino. Accostai l'auto nel vicolo retrostante all'uscita principale della scuola, dove un'orda di studenti sarebbe allegramente uscita dal cancello di ferro del liceo, inneggiando alla libertà, staccati fino al giorno dopo dai banchi di scuola. Giusto per evitare che venissi riconosciuto in qualche modo.
Inviai subito un messaggio ad Yvonne, dicendole chiaramente come raggiungermi. Ero certo si sarebbe infuriata come una bestia, ma la curiosità l'avrebbe ugualmente spinta a venire nella mia direzione. Ed anche se lei rimaneva testarda più di un mulo, sarei riuscito a riportarla a casa in auto per tutta la settimana. Non poteva rifiutare.

Sentii un pugnetto picchiettare sul vetro della macchina, subito spostai lo sguardo alla mia destra, guardando oltre il finestrino del lato passeggero. La ragazza corvina stava piazzata lì, con un tenero broncio stampato sul viso. Abbassai il vetro sfiorando leggero  uno dei tasti neri presenti sullo sportello al mio lato sinistro <Entra!>. Le intimai intenerito dal suo broncio, lei invece mi ammonì gesticolando nervosamente, come se stessimo facendo qualcosa un po' di sottecchi, magari illegale. La scenetta sembrava quasi ironica. Molto riluttante aprì il portellone e si sedette velocemente dentro, chiudendolo con molta cautela, furtiva. <Ti avevo espressamente detto che sarei tornata per conto mio.> Ignorandola le porsi un paio di cuffiette per la musica bianche che aveva dimenticato il giorno precedente, lei assottigliando lo sguardo si illuminò alzando le sopracciglia, pensando probabilmente a quanto le avesse cercate. <Com'è andata la giornata? Tutto bene?> Mi squadrò estremamente accigliata, rassegnata al fatto che pure io sapevo impuntarmi almeno un po' lei se volevo. Increspò le labbra in maniera sarcastica. <Abbiamo fatto algebra metà del tempo, cambia argomento. Te, invece?> Ridacchiò. Era più spigliata, magari cominciava a sentirsi a suo agio in mia compagnia. <Direi che non c'è male, oggi giornata rilassante, ma da domani torno a lavorare.> Annuì, guardando in avanti la strada vuota, ai cui lati un gattone nero dagli occhioni azzurri rovistava nei cassonetti. Mi invitò a partire. <La cintura.> Precisai serio, osservandola attentamente mentre eseguiva quel gesto così semplice, sbuffando.
<Giusto!> mi voltai sorridendo, evitando di mostrare quanto fossi allegro. <In nome della legge, metti in moto o lo farò io. Ne sono capace, lo sai.> spostò delicata una ciocca scura dietro l'orecchio, facendo un'espressione serafica. <Capace di cosa? Guidare senza patente, o spodestarmi letteralmente dal posto del guidatore pur di andare?> la provocai, furbo. <Basta temporeggiare! Parti o davvero lo farò, entrambe le cose. Sarà un problema se...> soffiò quasi le ultime parole, pentendosi di aver parlato troppo. Partendo verso casa sua accigliato attesi un prosieguo che chiaramente non arrivò.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 4 days ago ⏰

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