10. Occhi familiari

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"Louis, se mi lanci ancora addosso l'acqua della tua bottiglietta, le prendi!" gridò Liam mentre mi inseguiva correndo.
Gli feci una smorfia e mi fermai di scatto per farlo inciampare sui miei stessi piedi, cosa che però non mi riuscì: era troppo abituato ai miei scherzi. Ridemmo sonoramente e ci incamminammo per raggiungere Sophia, la ragazza di Liam, e Stan che erano rimasti indietro a guardarci con un sorriso stampato in faccia. 


Londra era fantastica, come sempre, ma il fatto di esserci andati anche con Stan - che non aveva fatto fatica a familiarizzare con i miei due amici - cambiava un po' le cose. Lui non c'era mai stato prima e così avevamo deciso di portarlo a visitare i posti fondamentali. In un certo senso fu come se la visitammo realmente e per la prima volta anche noi.
La giornata di sabato, quindi, passò molto velocemente tra visite a monumenti e vie famose e il buon umore generale. Saranno state le cinque di pomeriggio quando decidemmo di andare in albergo per riposarci e vestirci adeguatamente per la serata. Non avevamo programmato niente di preciso, se non di divertirci il più possibile ed ero sicuro che saremmo riusciti nell'intento.
Ci trovavamo in una zona universitaria e non sapevamo assolutamente da che parte andare per tornare in hotel - sinceramente non sapevo nemmeno come avessimo fatto ad arrivare fin lì, preso com'ero dalla conversazione con Stan. Era davvero un tipo intelligente e acuto, era stimolante parlare con lui. Durante la giornata, non potei fare a meno di notare più volte che si stava trattenendo dal guardarmi più del dovuto, spostando rapidamente gli occhi quando si accorgeva che lo fissavo a mia volta. Mi divertiva vederlo così a disagio nei miei confronti, mentre con gli altri due miei amici si comportava normalmente. Era tenero. 

"Louis, Stan, venite! Prendiamo la metro!" ci richiamò Sophia, distraendomi dai miei pensieri.
Li raggiungemmo e scendemmo per le scale che ci avrebbero portato ai binari sotterranei. Timbrammo il biglietto e ci mischiammo tra la massa di persone che stavano aspettando. Fu così che, non appena arrivò il nostro treno e si aprirono le porte, il caos ebbe inizio. Tra la gente che spintonava per salire e quella che spingeva per scendere e andarsene, non ci capii più niente. Mi guardai intorno allarmato, avendo perso di vista i miei amici. Che siano già saliti?, pensai mentre spostavo di forza alcune persone che mi stavano impedendo di salire a bordo.
Ero già dentro al vagone quando intravidi due ragazzi litigare mentre correvano verso l'uscita. Successe tutto velocemente: incuranti delle persone che li circondavano, i due individui si buttarono fuori dal treno trascinando con loro tutti quelli che si trovavano davanti alle porte, me compreso. Subito dopo la metro ripartì. E io l'avevo appena persa.
Incredulo che una situazione del genere fosse capitata proprio a me, mi voltai a guardare furiosamente i due responsabili, che si stavano già scusando con gli altri malcapitati.
"Oi! Voi due! Ma che vi è preso?" gli urlai contro.
Due paia di occhi mi scrutarono con attenzione e quelli appartenenti al ragazzo più basso si piegarono in una espressione di scuse, mentre l'altro mi guardò quasi spaventato. Eppure non ero stato così aggressivo.
"Niall, andiamo via. Immediatamente." sentii il più alto bisbigliare al suo amico, mentre continuava a guardarmi di sottecchi. 
Niall. Quel nome l'avevo già sentito, ma non riuscivo a ricordare dove. Ero troppo occupato a fissare con arroganza il ragazzo più alto, che era chiaramente intimidito da me e da una mia possibile reazione. Certo, non era la fine del mondo aver perso la metro, ma avrei dovuto comunque aspettare mezz'ora prima che ne arrivasse un'altra e chissà a che ora sarei effettivamente tornato in albergo. E tutto per colpa di due tizi a caso che mi avevano letteralmente trascinato giù dal vagone. 

"Pensate almeno di scusarvi?" chiesi spazientito prima di inviare un messaggio per rassicurare i miei amici.
"Sì, io - uhm, noi... cioè, scusa" balbettò il più alto, senza degnarmi di uno sguardo.
Che femminuccia, pensai facendo un mezzo sorriso sarcastico. Ad essere sincero, non so come feci a trattenermi dal ridere sonoramente. Tutta quella situazione era estremamente comica, per di più quel ragazzo così grande e grosso sembrava così intimorito da me e non aveva senso, perchè in confronto io ero un nano.  
Un nano. Harry di solito mi chiamava così. Scacciai velocemente dalla mia mente il pensiero della ragazza. Non la sentivo da quasi una settimana e non facevo altro che aggiornare i miei stati con frasi sdolcinate e allusive su quanto mi stessi divertendo con il mio nuovo ragazzo, sperando di attirare la sua attenzione in qualche modo e farla reagire. Ma niente di tutto questo era servito per farla di nuovo interagire con me. Mi stava ignorando e in un certo senso ero ferito dalla sua mancanza di interesse nei miei confronti, soprattutto perchè così improvvisa e immotivata. 

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