12. Il subconscio ha sempre ragione

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"Stan, ma che cazzo ti è saltato in mente?" gli urlai contro non appena mi resi conto che si era letteralmente lanciato su di me per baciarmi.

E che bacio, pensai nonostante fossi incazzato nero con lui.

Lo fulminai con lo sguardo e lo allontanai da me. Non volevo che mi baciasse, non volevo piacergli, non in quel senso almeno. Sì, gli volevo bene e lo trovavo carino, ma era fuori discussione fare certe cose con lui. Perchè non poteva semplicemente vedermi come un amico?

"Scusa"

Un bisbiglio appena udibile dopo ben dieci minuti di silenzio pieno di tensione. Mi voltai verso di lui, e lo vidi osservare distrattamente il paesaggio che cambiava attraverso il finestrino del taxi. Sembrava mortificato.

Non riuscivo ancora a capirne il motivo, ma il suo volto triste aveva il potere di far cambiare il mio umore: la rabbia cedette il posto alla comprensione. Gli presi una mano per consolarlo.

"Non ti preoccupare, sei ubriaco. So che altrimenti non l'avresti mai fatto, non è da te"

Mi guardò male. Oddio, sì, baciare ragazzi in effetti era da lui - dopo aver fatto alcune ricerche, infatti, in quei giorni scoprii con certezza che a Doncaster era cosa risaputa che fosse gay - ma quello che intendevo era che caratterialmente non era così impulsivo e sfacciato da baciare il primo che capitava, ecco. Forse aveva frainteso.

Il taxi si fermò davanti all'albergo e dopo aver pagato, aiutai Stan a scendere dall'auto e lo portai dentro fino in camera. Camera che ovviamente condividevamo. Avendo prenotato all'ultimo secondo, infatti, non riuscii a trovare altro che un'unica grande stanza con due letti matrimoniali. In quel momento avrei preferito seppellirmi piuttosto che condividere anche il letto con lui.

Decisi di perdere tempo: non sarei andato a dormire, non finchè lui fosse rimasto sveglio. Lo aiutai a infilarsi sotto le coperte e andai a farmi una doccia. Ne avevo bisogno, avevo bisogno di sciacquare via tutti quei pensieri che mi stavano assalendo. Aprii il getto d'acqua e mi rilassai immediatamente.

Era stata una serata intensa. Prima lo svenimento sulla ruota panoramica, poi avevo finalmente riscritto a Harry dopo una settimana di silenziose frecciatine. Avevo evitato di fare sesso con una ragazza - cosa mai successa prima - e, come se non bastasse, avevo anche incontrato nuovamente il ragazzo della metropolitana, provando cose per lui che al momento preferivo ignorare, altrimenti il mio corpo mi avrebbe dimostrato ciò che la mente non era ancora pronta ad accettare. Ultimo, ma non ultimo per importanza, Stan mi aveva baciato. Un bacio vero, non a stampo, un bacio cercato e voluto. Almeno da lui. Mi era piaciuto e non potevo negarlo, ma non significava assolutamente niente e soprattutto non era Stan la persona da cui volevo ricevere baci del genere.
Mi rimproverai per aver pensato di nuovo a sorriso-con-fossette. Quello Styles si stava insinuando troppo prepotentemente nei miei pensieri e tutto ciò cominciava a infastidirmi. Non era normale desiderare di rivederlo, non era normale voler sapere tutto di lui, non era normale pensare ai suoi muscoli a contatto con il mio corpo, ai suoi tatuaggi da scoprire lentamente e da studiare fino a impararne a memoria i contorni. Non era normale che una fottutissima erezione mi stesse crescendo proprio in quel preciso istante.

Adesso stiamo esagerando.

Finii di lavarmi con dell'acqua gelida per frenare gli ormoni impazziti e per fortuna funzionò. Quando ritornai in camera, ringraziai il cielo nello scoprire che Stan si era già addormentato e che quindi non avrei dovuto affrontarlo. Mi stesi dalla mia parte del letto e presi il cellulare, ricordandomi che non avevo avvertito Liam e Sophia e che potevano essersi preoccupati per la nostra assenza. Nessuna notifica. Come non detto, non si sono accorti di niente, pensai mentre scrivevo al mio migliore amico e lo informavo che io e Stan eravamo già tornati in hotel.

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