III

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Giugno 1945

Ra'hel si era appena svegliata, a causa di un brutto incubo. E, a detta sua, ci voleva poco prima che il gallo cantasse, perché il sole aveva iniziato a illuminare il grande stanzone nel quale dormivano.

Rimase sul letto a fissare il solaio, con il respiro affannoso: aveva la sensazione di aver smesso di respirare per diversi minuti.

Nel suo sogno, lei era stata selezionata, insieme ad altre 15 persone della sua baracca, perché le era successa una cosa che, fortunatamente, al campo non le era mai capitata: la febbre le era salita e non riuscivano a farla scendere,  nella "farmacia" del campo.

Quando la selezione era avvenuta, lei e un altro gruppo di donne erano di fronte alla farmacia e la ragazza non riusciva a tenersi in piedi: non ne aveva la forza, nonostante il sostegno di due sue compagne. Cadde di peso a terra, le gambe avevano ceduto, la testa ribolliva. Il suo corpicino, ormai magro a causa degli stenti, era percorso da tremiti di freddo.

La blokowa le era venuta accanto, aveva preso il suo braccio di forza e aveva letto il numero: la tolse subito dalla lista dei "presenti".

«No, per favore. Io sto bene». Tuttavia, fu trascinata in un altro gruppetto di donne: tutte della sua baracca.

Vennero portate in un corridoio. C'erano degli spogliatoi. Avrebbero fatto la doccia.

Era a quel punto che si svegliò. Era riuscita a non farsi uccidere.

Nessuno era sveglio, attorno a lei. Era totalmente da sola: poteva dare sfogo ai suoi pensieri sul passato. Le mancava la sua amichetta Shoshanna. Al suo ricordo le lacrime iniziarono a scorrere copiose lungo le guance, come sempre.

Appena il gallo cantò, decise che fosse il momento di alzarsi e addolcire il risveglio degli altri con un Notturno suonato al pianoforte. Ed era anche il momento di rallegrare il suo cuore spezzato.

Andò nella sala grande: il pianoforte era in un angolo, imponente, che non aspettava altro che essere suonato da lei. Era nero, lucido: lei ci teneva così tanto che lo puliva ogni singolo giorno.

Con un gran sorriso, ma con le guance arrossate dal pianto, si sedette sullo sgabello, posizionò i piedi sui pedali e iniziò a suonare uno dei tanti Notturni di Chopin, il suo preferito: Notturno in Mi bemolle maggiore.

Le dita si muovevano libere sullo strumento: erano come le farfalle che, una volta formatesi, escono fuori dal bozzolo e volano lontane.

Quella era la sensazione che desiderava provare quando suonava: la libertà, la gioia di vivere. Per un po' aveva smesso di provare tutto ciò.

Lo conosceva così bene, quel brano, da poter suonare la melodia a occhi chiusi. Tant'è che non si accorse, finché non li riaprì a opera finita, che qualcuno era entrato nella stanza e la stava ascoltando.

Lui applaudì. «Ma sei bravissima. Cos'era?»

«Un Notturno di Chopin».

«Dimenticavo che le opere musicali avessero titoli e autori di cui non capisco nulla».

«Si dice compositore, non autore, per le opere musicali» disse lei seria per correggerlo.

«Va beh, dai!» rispose lui, ridendo e accarezzando la superficie del pianoforte. «In orfanotrofio non mi hanno insegnato a leggere e scrivere, quando ero bambino, figuriamoci queste cose...»

Ra'hel ebbe un moto di risentimento. «Mi dispiace, non potevo pensare che tu...»

«Ma tranquilla. Non potevi saperlo, perché non lo sa nessuno qui». Si mise una mano nella tasca della tuta da giardinaggio che aveva: sarebbe andato a lavorare subito dopo colazione. «Beh, nessuno a parte te, ora».

«A cosa devo l'onore?» disse lei sorridente e con le guance rosse, stavolta non per il pianto.

«A nulla in particolare». Sorrise in imbarazzo sotto lo sguardo della sedicenne.

Quando vide che il ragazzo si stava avvicinando a lei per sedersi sullo sgabello, Ra'hel si alzò d'impeto.

Per quanto sapesse che il ragazzo non aveva cattive intenzioni, quel gesto le aveva ricordato come i soldati si avvicinavano a lei per lasciarle un "premio" per la sua bravura come pianista e cantante: dei biscotti appena sfornati.

Quanto la mangiava, la colpa, appena le giungeva il loro odore mentre lei suonava. Si sentiva in dovere di condividere il suo premio con le altre ragazze della sua età, rinchiuse per la sola colpa di essere nate.

Era così che aveva conosciuto Shoshanna: appena giunta, aveva ottenuto un biscotto da lei e aveva tanto sorriso nel ringraziarla. Quella ragazzina dai capelli biondo rame l'aveva colpita fin da subito per la sua vivacità: un comportamento che non era solita vedere nel campo. Nonostante le avessero tagliato i capelli, abbastanza corti, non erano rasati come quelli di Ra'hel, quindi si poteva ancora ben vedere il loro colore. Se non fosse stata lei a confermarglielo, avrebbe pensato che non fosse ebrea ma ariana, perché oltre ai capelli biondi aveva due occhi chiari come gocce di pioggia e così vivi come non se ne vedevano da un pezzo.

Quando lavoravano, Shoshanna era solita canticchiare in francese, la sua madrelingua, la qual cosa aveva colpito uno dei soldati che aveva chiesto alla sua "pianista personale" di accompagnare quella giovane cantante con lo strumento.

E lei aveva accettato. Avevano stretto un'amicizia che sperava potesse durare a lungo. Cantavano e suonavano per i festini delle SS del campo. Finché Shoshanna non era rimasta ferita sul lavoro a un piede e...

A quel ricordo, le lacrime iniziarono a uscire.

«Scusami! Ho fatto qualcosa?» chiese Gabriel preoccupato.

«No no. È che... ho ricordato una cosa» disse tirando su col naso.

La porta si aprì un'altra volta. La "mamma della tenuta" aveva fatto il suo ingresso nella stanza con il suo solito buonumore. Nonostante ciò, tentò di consolarla. «Ra'hel, tesoro». La strinse forte in un abbraccio, inducendola a calmarsi. «Tranquilla». La dondolava quasi fosse una bambina che doveva essere addormentata. Le braccia della ragazzina attorniarono il vestito leggero della donna, che era color rosa pastello: li portava sempre in tinta chiara in estate. Il naso era punzecchiato da un distillato alla rosa che la "mamma della tenuta" produceva con le rose del suo giardino. Appena la ragazzina si calmò, le disse: «Sai che è sempre un piacere ascoltarti suonare e cantare?»

«Davvero ti piace?» chiese la ragazza, con le guance paonazze e la voce ovattata: aveva la faccia a contatto con il vestito della donna. Le davano tutti del tu, come se davvero fosse la madre.

La "mamma della tenuta" annuì. «La mia era una famiglia di artiste. Abbiamo sempre amato la musica in tutte le sue forme». Fermò le sue parole continuando a cullare la ragazzina, che ora respirava la calma che quella donna ispirava a tutti lì. Si chiese, la giovane Ra'hel, che cosa avesse fatto la "mamma della tenuta" durante la guerra, in riferimento alla musica.

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Eccoci con un nuovo aggiornamento. I bambini della tenuta iniziano a stringere delle belle confidenze! Cosa succederà tra Gabriel e Ra'hel?
E la "mamma della tenuta" non manca mai, nel suo intervento. C'è un ulteriore indizio su chi potrebbe essere. Dunque, vi aspettiamo nel prossimo capitolo.
Buona lettura ❤️,

Lilingel

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⏰ Ultimo aggiornamento: 2 days ago ⏰

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