Prologo

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Da bambina per addormentarmi i miei genitori mi leggevano le favole.
Cullata dalle coperte, con la sola luce dell'abat-jour a illuminarmi delicatamente il viso e la mano di mia madre ad accarezzarmi la guancia; la voce profonda e magnetica di mio padre mentre esponeva le parole stampate su quelle pagine, mi induceva a immaginare un mondo nuovo, uno in cui l'amore era la sola chiave per avere una vita felice e non esisteva la cattiveria umana.
In quel luogo lontano e magico, io non avevo paura di essere me stessa, potevo mostrarmi senza il timore di venir giudicata.
Nei miei sogni coloro che amavo non mi abbandonavano, rimanevano al mio fianco accettando i miei difetti, non temevano di dover andare contro tutti pur di restarmi accanto.
In quella piccola terra distante anni luce, potevo permettermi di cambiare la mia vita e vivere quella che ho sempre voluto.
Lì i miei genitori stavano ancora insieme, mio padre non aveva tradito mia madre quando avevo solo tre anni; non avevo un fratellastro da parte sua.
Lì non ero stata vittima di uno scandalo causato da qualcuno di cui mi fidavo, una persona che avrei creduto impossibile di tale gesto.
Lì non ero stata pugnalata alle spalle, il mio gracile cuore non aveva tagli sulla sua limpida superficie.
Lì noi due stavamo insieme, avremmo potuto avere il nostro lieto fine.
Invece il destino aveva in serbo altri piani, i quali avremmo semplicemente dovuto accogliere per non stravolgere l'ordine delle cose.
Ma questa era la nostra caratteristica, sconvolgere tutto ciò che ci circondava.
Assieme eravamo caos e quiete, allegria e afflizione, ergevamo muri invalicabili ma al contempo facili da distruggere se era l'altro a farlo.
«Conosci la leggenda del filo rosso?» Mi domandò un giorno, la sua voce non la scorderò mai.
E io non lo sapevo, però mi stava aiutando a tessere la mia fiaba.
Se noi due potevamo essere sbagliati agli occhi del mondo, incompatibili e con i nostri caratteri difficili; nella nostra favola eravamo giusti, complementari e quanto più simili a ciò che viene definito "amore".
Il nostro era tormentato, tortuoso e alle volte impossibile, ma mai errato.
Perché se il destino sceglie di legarti al mignolo sinistro un filo rosso ed esso ti condurrà dalla tua anima gemella, allora non avrai dubbi e saprai di aver vicino a te il tuo amore vero, quello per cui faresti e daresti qualsiasi cosa, per cui ti faresti carico dei suoi demoni pur di alleviare la sua sofferenza, qualcuno da cui saresti disposto a farti leggere l'anima.
E noi eravamo questi, il nostro filo non si è mai spezzato, si è solo allungato di più.

Con le mani rugose, di cui pelle cosparsa di piccoli puntini viola, utilizzai uno strofinaccio per togliere la polvere dalla libreria nella mia camera.
È immensa, gli scaffali sono riempiti di fotografie rappresentati diversi periodi, i libri di poesia sono impolverati poiché chiusi da tempo, tranne le raccolte di Charles Bukowski.
«Perché mi hai regalato questo libro?»
«Perché così all'interno ci leggerai la nostra storia»
Un ricordo malinconico mi colpì, facendomi tremare le dita.
La sua voce, era da tanto che non la sentivo...

Anni fa amavo quel timbro seducente e roco, capace di scorgermi dentro e annullare le mie debolezze.
I suoi occhi marroni tranne che per una punta di verde a definire il contorno della pupilla, erano in grado non di guardare ma di osservare.
Comunicavano il suo stato d'animo, le sue preoccupazioni.
Riuscivo a capirlo solo dalle sue iridi, la sua faccia e il suo intero corpo indossavano una maschera di indifferenza, cercava di respingere chiunque, eccetto me.
Sono stata la sua eccezione, la sua felicità, ed entrambi siamo stati la condanna reciproca.
«Gli occhi sono l'unica parte del corpo che non mentirà mai. Innamorati di loro, perché resteranno costantemente sinceri»
E io l'avevo fatto, mi ero innamorata delle sue pagliuzze anomali, capaci di stregarti il cuore.

Mi portai una ciocca, dapprima castana ora grigia scura, dietro l'orecchio, i mie capelli sono rimasti lunghi fino alle spalle.
Per sbaglio urtai con il fianco il legno chiaro della libreria, provocando un tonfo scaturito da un oggetto caduto.
Mi chinai a raccoglierlo e, con la vista leggermente ofuscata per colpa dei miei ottantaquattro anni, non riuscì a capire di che libro si trattasse.
Mi sedetti sulla poltrona bordeaux che si trovava al centro della stanza, premei l'interruttore della lampada sul comodino alla mia sinistra e aspettai di metterne a fuoco i dettagli.
Quando mi resi conto di cosa stessi analizzando, mi si fermò il respiro, deglutì rumorosamente.
La copertina azzurra come i miei occhi ma con delle foglie verdi e marroni appiccicate sopra come i suoi, mi riportò indietro, a quando ero solo una ragazzina impaurita.
È il diario che ho scritto quando mi sono trasferita a San Francisco con mia madre, in queste pagine sgualcite e ingiallite narro della mia nuova vita, della mia rinascita.
E del nostro incontro.

Tossii talmente forte da piegarmi in due, da mesi il petto mi duole per i continui attacchi, ogni tanto sputo anche sangue.
Con il silenzio che alleggia nella casa, mi sono ritrovata a ripensare a tutto ciò che mi ha reso la persona di oggi.
La mia esistenza è stata appagante, mi sono sposata e ho avuto due figli, ho mantenuto i contatti con i miei amici del liceo e ho lavorato come avvocato.
Nonostante ciò, percepisco manchi qualcosa.
O forse qualcuno.
Un tassello si è perduto durante il tragitto e non so se riuscirà a tornare, non l'ha fatto in questi anni.
Un pezzo di puzzle indispensabile, fondamentale per il continuo della mia gioia.
Forse ciò che cerco è dentro queste pagine.
Posizionai il diario sulle ginocchia, ne accarezzai la copertina e lo aprì, un'ondata di malinconia mi attanagliò lo stomaco.
Sfogliai la prima pagina in cui c'era scritto il mio nome e cognome, poi passai a quella dopo.
In alto a destra è presente una citazione del mio poeta preferito, ovvero Charles Bukowski.
Rammento di aver raccontato prima il mio passato, quando andavo nella vecchia scuola, quella che mi ha condotto a isolarmi e diffidare della gente.
Sotto, in un calligrafia differente, più elegante e meno frettolosa; viene narrata la mia vita dopo il trasferimento, nella mia nuova scuola.
E fu in quelle poche pagine che lessi il suo nome, oramai non più pronunciato dalle mie labbra.
Devlin Melville.
L'amore della mia vita.
E così, senza il minimo rumore a distrarmi tranne quello del mio respiro, rilessi il mio passato.
Ripercorsi ciò che ero, ciò che ho subito e superato, le emozioni altalenanti a cui sono stata sottoposta.
So già come finirà questa storia, però confido in un finale diverso, migliore azzarderei.
I miei occhi passano voraci sulle parole, imprimendole nella mente e ricordandomi la parte più felice: quella con lui.
La nostra fiaba aspetta di essere conosciuta, il filo rosso tira, stringe sul mignolo sinistro e non mi da tregua.
E io lo assecondo, sperando di ritornare nel nostro mondo e incontrarlo di nuovo.

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