7 (tossic)

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La strada serpeggia verso l'alto, poi scende per un tratto affiancata alla scogliera; Evan spegne l'auto in uno spiazzo di terra battuta e inizia la salita verso la grotta a piedi

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La strada serpeggia verso l'alto, poi scende per un tratto affiancata alla scogliera; Evan spegne l'auto in uno spiazzo di terra battuta e inizia la salita verso la grotta a piedi. Dopo qualche passo si gira e mi chiama. 

«Dai, Sammy. Voglio solo stare un po' con te»

Il taglio dei suoi occhi è particolare: riesce a sfruttare il viso in maniera consapevole per incutere terrore o attrarti nella sua bolla di fascino. Sono cresciuta con lui e questa tecnica non fa più effetto. «Mi hai rapita da scuola, per questo?»

«Non ti servirà più andarci. Non ne avrai bisogno».

Stringo i denti per controllare il panico. Lo psicologo dice che, quando mi capita, devo cercare di vedere la situazione dall'esterno. Immagina di essere una farfalla, ha detto. Quello sono in grado di farlo. Immagina di essere libera di volare sopra a quello che ti sta succedendo e guardarlo da un altro punto di vista. Ecco, per me, immaginare di essere libera è molto più difficile. Sono stata prigioniera a lungo, prima della schiavitù di mia madre per la droga, che alle baracche chiamano Nod, poi di mio padre e della sua brama di guadagno. Di colpo mi trovo di nuovo nella casa che prima condividevo con mia madre e dopo con Frog: sporca e spoglia. Lui, seduto al tavolo da cucina, conta i soldi guadagnati e li fa scivolare tra le dita. Ne ricordo bene il fruscio mentre mi trascinavo in camera, inghiottivo un'aspirina o qualsiasi cosa ci fosse in giro per calmare il pulsare alla testa e i dolori alla schiena, alle gambe, all'inguine. Crollavo in un sonno pesante, senza sogni. Ero senza sogni. Senza speranza. Ignorante nella mia disperazione. 

Io, a scuola, ci voglio andare. Voglio diventare una persona che posso stimare, voglio amarmi. Libero il polso dalla sua stretta. «No. Scelgo io, adesso». 

Allora lui cambia. È la muta del serpente e dovrei proteggermi, invece si tratta Evan, il mio amico di sempre, e lo ascolto. «Va bene, stellina. Prometto che non ti farò più saltare la scuola. Mi dispiace».

Infilo la mano nella sua. Il braccio, coperto da tatuaggi scuri, è allungato verso di me e le sue dita mi stringono forte. Saliamo lungo il percorso di roccia che porta alla grotta blu, ogni passo di Evan brucia il ricordo di quelli di Michele davanti ai miei, della sua attenzione nei miei riguardi, della cura che ha impiegato in quel periodo così difficile, per aiutarmi. 

Vorrei gridare a Evan di fermarsi, che quel posto non è più nostro, non lo è mai stato, ma non posso. Lo seguo sulla roccia resa scivolosa dalla pioggia che continua a cadere e le lacrime trattenute bruciano invisibili. «Non credo sia il caso. Si scivola» grido, sovrastando il rumore dell'acqua. 

Lui continua a tirarmi per il braccio, senza rallentare. «Non hai mai avuto paura di venire qui».

Ora sì. È cambiato tutto e non so come dirglielo senza che lui se la prenda con la mia nuova famiglia. E se decidesse che Michele è il suo nuovo ostacolo da abbattere? Evan è molto bravo a eliminare gli ostacoli. Di colpo il contatto con la sua mano mi è insopportabile, la sfilo veloce e quella distrazione mi fa perdere la presa sul terreno. Scivolo verso il basso e la roccia mi graffia la pelle della gamba sotto i jeans. Cerco di rallentare afferrandomi agli speroni e trovo invece la mano di Evan, che si è lascia scivolare per qualche metro verso il basso e mi afferra per la vita. «Stai bene?»

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