Capitolo 11: comprendere

11 3 5
                                    

Quella notte Alex andò nei boschi, questa volta non si era dato un appuntamento con l'albino ma era sicuro che lo avrebbe trovato. Passò accanto al torrente e si fermò lì ad accarezzare e dividere l'acqua fresca con le sue mani da mingherlino. Stette in quel luogo per un po' ad ascoltare il fruscio del vento che gli attraversava i capelli e lo scorrere del torrente che risuonava dolcemente nelle sue orecchie; c'erano dei gufi che bubolavano e delle volpi minute che ogni tanto si affacciavano dai cespugli per controllare la situazione. Del resto, il suono prorompente delle cicale.

Ad un certo punto, Alex avvertì un rumore insolito provenire da dietro di lui: si giro e sbucò da dietro un albero il più grande. Egli si accovacciò di fronte al torrente, di fianco ad Alex, e si specchiò nell'acqua fredda e buia.
<<conosci il mito di Narciso?>> domando lo spiritello ed Alex scosse la testa.
<<si narra che molto tempo fa, nell'antica Roma, vivesse un ragazzo figlio di una ninfa, Liriope, e del Dio fluviale Cefiso. Egli era superbo ed insensibile e rifiutò tutti i suoi pretendenti e, in un certo senso, lo stesso Eros, Dio dell'amore. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere del narciso, si trafisse l'addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli Dèi per ottenere una giusta vendetta. La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte d'acqua la sua bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa innamorandosi perdutamente di sé stesso tanto da trafiggersi il cuore per il pentimento. Dal sangue suo che fu versato a terra, spuntò per la prima volta l'omonimo fiore, il Narciso.>> concluse la storia il ragazzo mentre l'altro annuiva.
<<perché mi hai raccontato questo mito?>>
<<perché è una mia debolezza, io sono come Narciso e mi piace esserlo ma riconosco che sia sbagliato.>>
<<capisco.>> si rattristò il mulatto.
<<e tu hai delle debolezze?>> chiese Giorgio con fare persuasivo.
Il più piccolo stette in silenzio per qualche minuto.

Poi si decise, con molto sconforto, a parlare.
<<sì. Mio padre non l'ho mai conosciuto, mia madre era una donna disturbata, si drogava e si ubriacava e poi mi frustava, mi spegneva le sigarette sulla schiena, mi chiudeva in cantina al buio e non mi faceva mangiare. Alla fine, all'età di sei anni, chiamai gli assistenti sociali che mi vennero a prendere e mi portarono lontano da quella ignobile donna quale è mia madre. Purtroppo non sono capitato bene nemmeno dopo. Perché quelli che dovrebbero essere i miei attuali genitori sono ricchi e malvagi e mi trattano come uno schiavo ed io non li sopporto quegli ipocriti, mi offendono sempre.>> poi fece un lungo sospiro ed il più grande stette in silenzio, ascoltando nel mentre il cantare delle cicale.
Alex si mise la mano sul capo, coprendosi anche gli occhi.
<<non so perché te l'ho detto, non dovrei parlarti di queste cose. Non ne ho mai parlato a nessuno>> asserì sofferente.

L'albino allora lo prese per il viso e lo fissò dritto negli occhi, con quello sguardo gelido ed agghiacciante.
<<sono le tue sofferenze, tutto ciò che ti turba, non devi rammaricarti perché a me piacciono le tue debolezze.>>
Poi si alzò e fece alzare, tenendolo per il braccio ferito, anche l'altro.
<<togliti la maglietta.>> affermò l'albino.
<<perché dovrei? Fa freddo.>> disse spaventato Alex.
<<fallo e basta!>> esclamò poi con un senso di superiorità Giorgio.

Alex obbedì, si tolse la maglietta: aveva il petto pieno di lesioni e di cicatrici provocate dalla frusta della madre e quando si girò si notarono le varie bruciature sulla schiena miste ad altre cicatrici che sembravano quasi ali poiché posizionate esattamente all'estremità delle scapole.
Il più grande passò la mano sul suo corpo, poi sulle sue ferite. Fu lì che Alex, per la prima volta dopo tanto, si mise a piangere davanti a qualcuno e pianse talmente forte da iniziare ad urlare e dimenarsi. Giorgio lo bloccò e lo fece piangere sulla sua spalla ma, dopo pochi minuti, quando si avvicinò troppo tirò fuori le unghie e, mentre l'altro piangeva, gli graffiò il lato inferiore della schiena provocandogli l'ennesima ferita. Questa ad Alex dava una sensazione di piacere però che improvvisamente iniziò a ridere come un matto.

<<dai, basta parlare di questo ora!>> esclamò Alex ridendo ed asciugandosi le lacrime.
<<ci fa bene parlare di questo. Sei stato tu a dirmi che potevo entrare nel tuo inconscio quando mi pareva, nella lettera, no?>> inclinò la testa Giorgio con fare interrogativo.
<<hai ragione ma non ce la faccio più, scusa.>> Alex poi si rimise la maglietta.
<<comunque sembri un angelo, l'angelo caduto a cui strapparono le ali, con quelle ferite.>> affermò il più grande.
<<ecco perché mi chiamano "figlio del diavolo">> ridacchiò Alex e se ne andò salutandolo con un accenno di mano. Sparì nei meandri del buio bosco, tra gli alberi e i cespugli.

The Weird KidDove le storie prendono vita. Scoprilo ora