Capitolo 3

1.8K 138 148
                                    


Casco nero

Three months and four days
before her memory loss

«Ehi, ti stavamo aspettando» Will corre nella mia direzione, non prima di aver fatto un cenno agli altri della testa.
Metto il cavalletto alla moto e scendo giù, scuotendo i capelli appiattiti dal casco.
«Che succede?» indico gli altri col mento.

Will scrolla le spalle, infilandosi le mani nelle tasche.
«Il solito» sbuffa «Edgar ha sbattuto la testa dopo un'impennata»
Sollevo le sopracciglia.
«Che cazzo gli dice il cervello?» sbotto «Gli ho insegnato solo la settimana scorsa a portare la moto» mi tasto le tasche in cerca del mio pacchetto di sigarette, per poi realizzare di averle finite prima di mettere piede in città.
«Tu perché ci hai messo tutto questo tempo?» Will lancia un'occhiata all'Harley alle mie spalle.
«Da Augusta a Mesonville sono tre ore e mezza» spiego burbero «Ringrazia che sono qui»

Will sospira, posando una spalla contro la macchinetta del caffè.
Odio gli ospedali, per tutto il tempo che ho passato con il culo spiaccicato in una delle sedie nella sala d'attesa.

«Andate a casa» sospiro poi «Resto io qui fin quando non lo dimettono».
«Potrebbero dimetterlo domani mattina» mi informa «Passeresti la notte qui per lui?» mi guarda stupito, ed io lancio uno sguardo al corridoio colmo di persone in attesa di sapere se i loro famigliari stanno bene.
Se c'è ancora speranza.

Sospiro profondamente.
Nessuno può sapere quanto me quanto è importante per le persone che stanno uscendo, trovare qualcuno seduto qui ad aspettarli.

«Sempre meglio di casa mia» abbozzo un sorriso ilare, dandogli una pacca sulla spalla.
«Che ci facevi ad Augusta?» mi guarda accigliato, e dopo qualche secondo sembra realizzare.
«Hai notizie?»
Scuoto la testa, con le labbra pressate fra di loro.

Non ho sue notizie da mesi, ormai, ed è da mesi che giro tutte le centrali di tutte le città del Maine chiedendo di lei.
Mi è stato detto di arrendermi, ma non è da me.
Non è così che si fa, non dovrebbe essere così semplice.

La mia testa e quella di Will, così come quella di mezzo ospedale, si volta in contemporanea verso delle urla femminili che provengono dall'ultima fila di sedie della sala d'aspetto.

I miei occhi scorgono una figura esile di una ragazza, vestita in modo abbastanza succinto, che sta urlando e si sta lamentando con uno dei medici del reparto.
L'avrei ignorata e mi sarei addirittura lamentato del baccano che sta facendo, se solo non mi fossi accorto di conoscere quella voce.

«Chi è?» indico la ragazza a Will, che si gratta una tempia.
«Una squilibrata che si lamenta da quando è qui» sospira «A quanto ho capito l'amica è dentro e non le danno notizie»

La ragazza torna a sedersi non appena il medico torna dentro al reparto, ma il secondo dopo punta i miei amici con lo sguardo balza in piedi correndo nella loro direzione.

Spingo Will con un braccio, per andare a sentire ciò che ha da dire.

I miei amici sollevano lo sguardo sul suo, e lei si pianta davanti a loro con un'aria altezzosa che non ricordavo.

«Voi guidate?» li indica tutti con il dito, ed io mi avvicino lentamente.
Indossa una vestito vertiginosamente corto color argento, dei tacchi neri con dei lacci che le si attorcigliano fin sopra la caviglia e i capelli mossi che le ricadono sulle spalle.
Affianco incuriosito un mio amico.

𝐎𝐔𝐓𝐒𝐈𝐃𝐄𝐑𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora