Capitolo 5

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Non è mai tornato.

Sono trascorse sette notti dall'ultima volta che ho visto casco nero, in carne ed ossa, davanti alla mia porta.
Sette notti esatte da quando gli ho chiesto esplicitamente di volerlo rivedere, ma credo di averlo spaventato.

Non vuole nemmeno mostrarti il suo volto o dirti il suo nome, figuriamoci se vuole avere una conversazione sulla sua vita con te.
Questo è quello che mi sono ripetuta ogni volta che i miei pensieri sono ricaduti su di lui.

Probabilmente ho affrettato le cose, e gli ho dato l'idea di essere una squilibrata in cerca di compagnia.
Oppure, non gli ho ispirato il minimo interesse, e potrebbe essere l'opzione più probabile.

Non sono la tipica ragazza che a primo impatto possa risultare convincente.
Sono di una normalità disarmante, i miei capelli sono di un marrone scuro e spento come i miei occhi, la mia corporatura è minuta, non sono né troppo esile da risultare elegante o fine, né troppo voluminosa da sembrare desiderosa agli occhi del genere maschile.

Forse è meglio che non sia più tornato, o si sarebbe annoiato ad ascoltare i miei sermoni sulla matematica o a forzare una risata ogni volta che tiro fuori una delle mie battute squallide.
Ha fatto la scelta giusta, ed io non mi sarei aspettata nulla di diverso.

«Stasera che hai da fare?».
Miranda apre le ante del suo armadio, e si specchia posandosi addosso un vestito di un rosso scuro e spento.

Mi limito a spingermi sulla sedia girevole e ruotare su me stessa.
«Come se qui dentro avessi tante alternative» scrollo le spalle, mordicchiando la caramella di liquirizia che ho trovato sulla sua scrivania.
Dal sapore sembra sia qui da diversi mesi, ma è comunque mangiabile.

«Io non ti capisco, Mia» lancia il vestito sul suo letto, guardandomi con le mani sui fianchi.
«Come hai potuto accettare di trasferirti in questo posto? Io venderei me stessa per tornare alla mia vecchia vita» afferra un'altro vestito, se lo posa addosso e si specchia.

«Fuori non avevo più nessuno, e poi questo posto mi ha sempre incuriosita» poso una guancia sul palmo della mano, guardandola mentre scarta l'ennesimo vestito.
«Non avevi amiche? Non ti manca la tua famiglia?»
«No» rilascio un sospiro, con lo sguardo perso nel vuoto «Dopo l'incidente sono stata un anno segregata in casa a cercare di ricostruire la mia vita, e nel frattempo le amiche che avevo se ne sono fatte un'altra senza di me» mi mordicchio nervosa il labbro «Eravamo solo io e mio padre»

Lei mi guarda dal riflesso dello specchio, confusa.
«Pensavo che Perkins fosse sposato»
«Mia madre è morta nell'incidente»

Il silenzio che si viene a creare dopo, mi costringe a sollevare lo sguardo nel suo cercando di capire a cosa stia pensando.
«Mi dispiace» sussurra «Non lo sapevo»
«Tranquilla, io...» tossicchio, raddrizzando la schiena «Non riesco a soffrirne, non ho gettato una lacrima per lei» ragiono ad alta voce, con la mente immersa nei ricordi di quel periodo.
«Non perché non avessimo un buon rapporto, lei era fantastica...» mi gratto una tempia con fare smanioso «Mi manca molto spesso, ma è come se lo avessi già elaborato»

Miranda si gratta la testa confusa, ed io la comprendo perché non è tanto facile da capire questo concetto.
«L'incidente mi ha cambiata» mormoro «Perdere la memoria porta a gravi traumi alla mente, e a volte il cervello è così occupato a cercare di ricordare che tralascia molte sensazioni o emozioni» gesticolo, tendando di farmi capire da lei.
«Le mie emozioni sono come in stand by, al momento. Non provo nulla che riesca a cambiare il corso della mia giornata. La felicità non è mai felicità ma sollievo, la tristezza non è tristezza ma pesantezza, la rabbia non è rabbia ma apatia»

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