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⋆.˚ 𓆝⋆.

𝑇𝑟𝑎 𝑙𝑒 𝑚𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑢𝑓𝑓𝑖𝑐𝑖𝑜, 
𝑢𝑛 𝑟𝑎𝑔𝑎𝑧𝑧𝑜 𝑠𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑒 𝑖𝑛 𝑐𝑖𝑜' 𝑐𝘩𝑒 𝑎𝑚𝑎, 
𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜, 𝑢𝑛 𝑝𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑒'. 
𝑀𝑎 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜, 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑒' 𝑠𝑜𝑟𝑑𝑜, 
𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑠𝑐𝑒 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑔𝑛𝑜, 
𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛𝑜 𝑣𝑒𝑑𝑒 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒. 
𝐸𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒, 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑙𝑜𝑡𝑡𝑎𝑟𝑒, 
𝑝𝑒𝑟𝑐𝘩𝑒' 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑎 𝑢𝑛 𝑠𝑒𝑛𝑠𝑜, 
𝑎𝑛𝑐𝘩𝑒 𝑠𝑒 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑜 𝑠𝑎𝑛𝑛𝑜.

⋆.˚ 𓆝⋆.

Quando rientrai nel mio ufficio dopo le solite visite, mi accorsi subito che qualcosa era cambiato. Conoscevo alla perfezione ogni angolo del mio studio, ogni oggetto al suo posto. Quella busta bianca, accompagnata da un foglio quadrato giallo, non faceva certamente parte dell’arredamento minimalista e spoglio a cui ero abituato.

Mi avvicinai con un misto di curiosità e cautela. Presi il foglio per primo. Su di esso era scritto, con una grafia elegante: "Per il dottor Alexander, non si trascuri, mi raccomando." La firma era di Anastasia. Ci misi un attimo a collegare il nome a un volto, ma poi l’immagine di quei capelli rossi, delle lentiggini sparse sul viso, e soprattutto di quegli occhi maledettamente intensi mi tornò alla mente, nitida come un ricordo mai sbiadito.

Chiusi gli occhi e sospirai profondamente. Perché, tra tutti, lei era l’unica di cui ricordavo ogni dettaglio? Decisi di mettere da parte il biglietto, spostando l’attenzione sulla busta. Con mia sorpresa, all’interno trovai una brioche.

Non sapevo quanto fosse appropriato che un paziente facesse un regalo al proprio medico. Certamente Anastasia l'aveva fatto con innocenza, senza malizia. Tuttavia, molti avrebbero potuto fraintendere. Senza pensarci troppo, nascosi sia il biglietto che la busta, sperando di trovare un momento di tranquillità per gustarmi quella brioche. Ero affamato: non mangiavo dalla sera precedente, e la sola vista di quel dolce mi fece stringere lo stomaco dalla fame.

Come temevo, il pranzo saltò a causa del troppo lavoro, e fui chiamato d'urgenza subito dopo. In quell’edificio ero l'unico a destreggiarsi con una certa competenza tra le varie emergenze. Avevo studiato duramente, mi ero specializzato in diversi ambiti, e non nego che il supporto della mia famiglia mi avesse spalancato molte porte.

Eppure, era anche questo che mi pesava: molti mi giudicavano a prima vista, pensando che fossi uno dei tanti raccomandati, incapace di gestire davvero la professione. Ma avevo ventisette anni, un’età che mi sembrava ancora troppo giovane per tutto quello che avevo già visto e fatto. Solo quando mi osservavano all’opera, alcuni iniziavano a capire perché fossi così richiesto.

- 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 - 𝐇𝐰𝐚𝐧𝐠 𝐇𝐲𝐮𝐧𝐣𝐢𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora