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𝑁𝑒𝑙 𝑏𝑢𝑖𝑜 𝑐𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜, 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑜𝑛𝑡𝑒, 
𝑡𝑟𝑎 𝑠𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑒 𝑡𝑖𝑚𝑜𝑟𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑣𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑜𝑛𝑑𝑒. 
𝐿'𝑖𝑔𝑛𝑜𝑡𝑜 𝑚𝑖 𝑐ℎ𝑖𝑎𝑚𝑎, 𝑠𝑖𝑙𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒 𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑜, 
𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑑𝑎 𝑠𝑒𝑔𝑟𝑒𝑡𝑎, 𝑛𝑒' 𝑐𝑖𝑒𝑙𝑜 𝑛𝑒' 𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜.

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Kevin mi fissava con la sua solita aria ostinata. Sembrava innervosito, anche se forse mi stavo sbagliando. Mia madre mi aveva sempre detto: "Non giudicare mai solo dall'apparenza, la fisiognomica non rivela la verità." Eppure, c'era qualcosa nei suoi occhi, un'inquietudine che il mio istinto non riusciva a ignorare.

Il silenzio tra noi era quasi opprimente, così decisi di rompere quella strana tensione.

《Grazie per l'altra sera. Anche se non sembra, mi ha fatto bene.》

Mi aspettavo una risposta, forse anche solo un cenno di comprensione. Ma lui si limitò ad alzare le spalle, superandomi senza dire una parola. Si sedette a pochi metri di distanza, accese una sigaretta, e io lo osservai da lontano. Mentre aspirava il fumo, notai la mano ancora fasciata e qualche graffio sparso qua e là, segni di qualche recente scontro. A parte quelli, sembrava stare bene, almeno fisicamente. Ma mi domandavo cosa fosse successo davvero per ridurlo in quello stato.

Non volevo rimanere da sola, e soprattutto la noia stava prendendo il sopravvento. Così decisi di disturbarlo ancora una volta.

《Kevin, che ne dici se—》

Non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase. Mi interruppe bruscamente.

《Senti, se davvero pensi che io ti faccia da babysitter, ti sbagli di grosso. Ti ho aiutato, ma non significa che siamo amici, chiaro? Ora levati, grazie.》

Rimasi pietrificata. Non era una sorpresa che mi trattasse così, non era la prima volta che lo faceva, ma c'era qualcosa di diverso in quell'istante. Pensavo che forse avesse capito che non ero come le altre persone che frequentava. Ma mi sbagliavo.

Sospirai e con la carrozzina feci lentamente retromarcia, pronta ad andarmene. Stavo proprio per girarmi e lasciare quella situazione alle spalle, quando sentii la porta aprirsi bruscamente con un forte colpo. Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo entrare, più o meno della mia età, ma molto più muscoloso, e con un'espressione rabbiosa che mi mise subito a disagio.

Raggiunse Kevin con passi rapidi e decisi, e in quel momento capii che doveva essere proprio quel ragazzo di cui Kevin mi aveva accennato, un tempo. Non mi intromisi, non erano affari miei. E, dopo il modo in cui mi aveva trattata poco prima, non vedevo il motivo per farmi coinvolgere.

Poi accadde tutto in un istante: sentii dei colpi sordi e improvvisi. Mi voltai e vidi Kevin a terra. Merda.

Senza pensare, mi spinsi in avanti con la carrozzina, correndo verso di loro, anche se sapevo che non avrei potuto fare molto. Ma non potevo rimanere a guardare. Dovevo, in qualche modo, provarci.

Con voce potente e carica di rabbia, urlai: «Ehi, lascialo stare!» Ma il ragazzo, uno sconosciuto dall'aria minacciosa, sembrava non accorgersi minimamente della mia presenza. Troppo impegnato a infierire su Kevin, che mi guardava con occhi sconvolti. Lui mi aveva sentito, e nel suo sguardo c'era un messaggio silenzioso, quasi mi stesse implorando di non intervenire. Ma come avrei potuto voltarmi dall'altra parte? Non era nella mia indole abbandonare chi è in difficoltà. E poi, dov'erano finiti i dottori? Questo posto, di solito, brulicava di medici e pazienti.

Quando finalmente gli fui di fronte, tentai con tutte le mie forze di spingerlo via, continuando a gridare di smetterla. Ma ero intrappolata nella mia carrozzina, e lui, così grande e massiccio, sembrava nemmeno accorgersi delle mie grida disperate. Non riuscivo a fermarlo, così decisi di frappormi tra lui e Kevin. Fu in quel momento che il ragazzo si accorse di me.

«Spostati, stronza! Kevin, ora ti fai difendere da una femminuccia?» sputò con disprezzo, senza nemmeno darmi il tempo di replicare. Con un gesto violento mi spinse da parte, facendomi cadere pesantemente a terra insieme alla mia sedia a rotelle. Un dolore lancinante mi attraversò la testa quando colpii il pavimento. Tutto cominciò a girare vorticosamente, e in pochi istanti il mondo attorno a me si spense, sprofondando nel buio.

Kevin's Pov

Ero messo davvero di merda, sentivo il corpo bruciare come se fossi stato buttato in un fottuto rogo. Le ferite mi si stavano riaprendo e, come se non bastasse, quella scema si era messa in mezzo. Ma si può essere più stupidi? Non capisce un cazzo, eppure è sempre lì a rompere, sempre a infilarsi dove non dovrebbe. Dio, quanto mi sta sul cazzo. Eppure, nonostante tutto, una parte di me, piccola e irritante, era quasi sollevata nel vederla. Blaterava qualcosa, ma chi cazzo ci capiva? Ormai sentivo solo il fuoco divorarmi vivo. Ma quando la vidi stesa a terra, priva di sensi, qualcosa in me esplose.

Come cazzo si era permesso? Non solo ci aveva provato con mia sorella, ora se la prendeva pure con lei? Mi alzai di scatto, pieno di rabbia, e con un colpo ben piazzato lo centrai in faccia. Avevo deciso di prenderle e basta, di lasciarmi massacrare per non avere rogne coi dottori, di evitare di incasinarmi ulteriormente. E invece guarda qua, mi tocca difendere pure lei. Che cazzo di situazione.

In due fottuti secondi l'ho calpestato. Anni di boxe, calci, pugni... e quel pezzo di merda l'ho ridotto in poltiglia senza pensarci due volte. Ma poi... poi è scattato qualcosa dentro di me. Il solito fottuto demone che cercavo di tener giù, nascosto. Ogni volta che iniziavo a colpire qualcuno, diventava una maledetta droga. Non riuscivo a fermarmi, e iniziava a piacermi. E quando quel cazzo di piacere mi prende, nessuno può fermarmi. Nessuno, tranne la forza bruta.

Continuai a calpestarlo senza pietà, con la rabbia che mi bruciava dentro, finché non lo vidi svenire come uno stronzo. Solo allora mi fermai, col cuore che batteva a mille e il respiro spezzato. Merda. Adesso non solo ero coperto di sangue – e non avevo nemmeno idea se fosse il suo o il mio – ma dovevo anche preoccuparmi di lei. Era lì, svenuta per terra come un sacco vuoto, e cazzo, non sapevo se fosse viva o no. Non c'era tempo da perdere.

La presi in braccio, anche se il mio corpo gridava di fermarmi, e mi feci strada verso l'ospedale. Ogni maledetto passo era una tortura, ma stringevo i denti. Quando finalmente arrivai, urlai con tutta la voce che mi rimaneva: «Aiutatemi!». Per fortuna, qualche infermiere si mosse subito. Era anche ora. Li guardai mentre si affrettavano a occuparsi di Anastasia, e solo in quel momento sentii un leggero sollievo. Ma durò meno di un attimo.

Appena distolsi lo sguardo da lei, incontrai gli occhi di quel fottuto dottore. Il solito pezzo di merda che non faceva altro che fissarmi come se fossi la causa di ogni problema. Ogni volta con quello sguardo di merda, come se mi giudicasse dall'alto in basso. Come se non sapesse che l'unico a sbattersi in questo casino ero io. Cazzo, come mi irritava.

- 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 - 𝐇𝐰𝐚𝐧𝐠 𝐇𝐲𝐮𝐧𝐣𝐢𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora