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𝑁𝑒𝑙 𝑠𝑖𝑙𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜 𝑜𝑠𝑐𝑢𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜, 
𝑣𝑎𝑔𝑎𝑛𝑜 𝑙𝑒 𝑒𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖, 𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑖𝑛 𝑓𝑟𝑜𝑠𝑡𝑎. 
𝑆𝑒𝑛𝑠𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑒, 𝑚𝑎𝑖 𝑡𝑜𝑐𝑐𝑎𝑡𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎, 
𝑠𝑣𝑒𝑙𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑒𝑔𝑟𝑒𝑡𝑖, 𝑑𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑠𝑜𝑡𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎.

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Kevin's Pov

Quando portarono via Anastasia, il mio sguardo si bloccò sul dottore, che mi guardava con un'espressione di disprezzo assoluto, come se fosse tutta colpa mia. Sbuffai, incazzato e confuso su cosa fare, mentre la rabbia montava dentro di me. Il dottore si avvicinò e non perse tempo a sbottare con una domanda accusatoria.

«Che cazzo ha fatto questa volta? Ti avevo detto di non importunare più la ragazza!»

«E che cazzo dovrebbe essere? Il suo dannato bodyguard?» Risi in modo nervoso, infuriato, e continuai a sparare parole con un tono di puro disprezzo.

«Per la cronaca, non ho fatto un cazzo. È stata lei a mettersi in mezzo, come al solito. C'è ancora un uomo lì fuori, vivo per miracolo e ridotto a un pezzo di carne, se vuoi puoi chiedergli i dettagli. Ma sappi una cosa: non giudicare mai un cazzo di persona che non conosci. Anastasia non è certo una bambina, sa benissimo come difendersi.»

Sputai le parole con rancore e lo superai senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Non avevo voglia di sentirlo, e visto che le mie ferite erano in condizioni pietose, iniziai a zoppicare lungo il pianerottolo, finché un altro dottore non si accorse del mio stato e intervenne.Dopo avermi rimesso qualche garza e fatto alcuni punti, ero pronto a rialzarmi, nonostante il dottore continuasse a dirmi di restare a riposo. Ma chi se ne frega. Non avevo intenzione di restare in quel dannato ospedale a morire di noia. Così, decisi di fare due passi e, seguendo un impulso inspiegabile, mi avviai verso la stanza di Anastasia. Perché diavolo mi preoccupavo ancora per lei? Che nervi.

Quando arrivai alla sua stanza, scoprii che era sotto osservazione. Aveva ripreso conoscenza, ma sembrava ancora in condizioni miserabili. Con uno sforzo notevole, bussai alla porta, pronto a vomitarle addosso tutto il mio rancore. Ma quando la vidi sdraiata sul letto, con un livido enorme sulla fronte e un ago infilato nella carne, rimasi senza parole. Feci una smorfia e mi avvicinai con passo brusco.Lei mi fissava attentamente, anche se i suoi movimenti erano lenti e deboli, come se non si fosse ripresa affatto. Mi chiedevo come diavolo avesse potuto ridursi così, quando era proprio lei a essere in quello stato.

«Non riesci mai a stare tranquilla, eh, ragazzina?»

dissi con un tono velenoso e brusco, e lei rispose con un sorriso flebile che mi infastidì ancora di più, come se sorridere in quella situazione fosse la cosa più stupida del mondo.

«Proprio tu me lo dici?» mi rispose, e la sua domanda mi fece esplodere di frustrazione, amplificando il mio malessere e la mia rabbia.

Rimasi lì, zitto, stringendo i denti, mentre la fissavo dritto negli occhi. In un istante capì che mi stava osservando e, come da copione, la sua faccia cambiò in un'espressione preoccupata. Eh, certo, cosa cazzo poteva succedere altrimenti?

«Merda, Kevin, ma ti sei fatto vedere così?»

All'inizio pensai avesse notato le garze, ma poi ci rendemmo conto che i punti si stavano già staccando. E ovviamente, eccolo lì, un po' di sangue a fare da contorno. Il dottore aveva ragione, tanto per cambiare. Sbuffai, scuotendo la testa come per mandare tutto a fanculo, poi mi alzai e mi tolsi la maglia per vedere cosa potessi fare da solo. Ma un rumore mi fece voltare. Anastasia, con il viso nascosto tra le mani.

«Kevin, esiste un bagno, mica voglio uno spogliarello in camera mia!»Ma che cazzo?!«Mi sto solo controllando, cazzo, quanto sei rompipalle. Cos'è, sei così puritana? Mai visto un uomo nudo in vita tua? Cristo, che situazione assurda.»

Avrei fatto meglio a non venire. Mi rimisi la maglia con la stessa indifferenza di uno che ha perso ogni speranza e mi avviai verso la porta, deciso a farla finita con quella scenata. Ma la sua voce mi fermò di nuovo.

«Scusami, non volevo. Vieni qua, posso aiutarti...»

Parlava con un tono basso, quasi colpevole. Ma chi cazzo le capisce le donne? In ogni caso, non avevo voglia di sentire i soliti sermoni del dottore, quindi tornai da lei. Mi sedetti su una sedia davanti al suo letto, ma lei mi indicò di accomodarmi direttamente lì, accanto a lei. Sbuffai per l'ennesima volta, ormai neanche le contavo più, e mi misi dove diceva,mentre mi  toglievo la maglia per la seconda volta. Lei arrossì appena, e io, già innervosito, risi sotto i baffi mentre le passavo la scatola con tutto il necessario.

Sentii le sue mani toccarmi le garze, ormai fradice, con una delicatezza che mi sorprese. Trattenni il respiro, nemmeno so perché. Forse era paura, ma chiamarla così mi pare una stronzata. Mi tolse le garze con una lentezza infinita, quasi avesse paura di farmi male, e ogni tanto mi guardava dal basso come se dovesse leggere ogni singola espressione sul mio volto. Ma io ero fermo, immobile, la fissavo senza dire nulla, incantato ma allo stesso tempo confuso. Cazzo, che cosa sta succedendo? Perché si sta sbattendo così tanto per uno stronzo come me?Non la capisco proprio.

Strinsi le lenzuola così forte che pensavo di strapparle, cercando di non emettere un suono, di non fare una sola smorfia. Non volevo certo farla preoccupare più di quanto già non fosse. Quando iniziò con la sua "opera d'arte", mi morsi la lingua, soffocando ogni urlo. Cristo, che dolore. Alla fine del suo lavoro, ero fradicio di sudore, ansimavo come se avessi corso una maratona. Non era affatto una cosa semplice da sopportare, o almeno a me sembrava impossibile. Mi lasciai cadere a faccia in giù sul suo cuscino, cercando di respirare, il dolore che mi pulsava in tutto il corpo.

«Scusami... lo so, fa male, ma passerà, te lo prometto.»

Mi accarezzava i capelli, come se fosse mia madre. Giuro, se fossi stato in me, se fossi stato al cento per cento, le avrei sparato una battuta, di quelle sarcastiche che mi piacciono tanto. Ma non ero proprio in me. Così, lasciai perdere. Lasciai che le sue carezze mi cullassero, che si prendesse cura di me. Dio, dovevo essere completamente fuso per ridurmi a questo punto. E mentre stavo lì, in quel momento assurdo, non potevo fare a meno di pensare: e se qualcuno ci avesse visto? Due persone in una situazione così... Non volevo nemmeno pensarci. Eppure, in quel momento, non me ne fregava un cazzo.

Passò quasi un'ora, e alla fine ero in piedi, rivestito, con il solito sguardo di pietra. Ma dentro di me qualcosa era cambiato, anche se non sapevo esattamente cosa fosse. Sbuffai, come al solito. Cristo, che palle. Odio questa situazione, odio essere in debito con qualcuno. Mi fa sentire una merda.

«Grazie,» le dissi, niente di più. Una parola buttata lì, ma lei lo accettò con uno di quei sorrisi che ti trapassano l'anima.

«Siamo pari adesso, Kevin.»

No, col cazzo che eravamo pari. Lei mi aveva letteralmente salvato, e adesso mi aveva guarito. Come faceva a essere così dannatamente disponibile? Mi mandava fuori di testa.

«Kevin, mi piacerebbe vederti di più, lo sai? In qualche modo mi rendi curiosa. E se continuerai a respingermi, io cercherò sempre di avvicinarmi. È nella mia natura essere così curiosona.»

«Oh, questo lo vedo.»

E fu in quel momento che scoprii la sua risata. Quella risata che un giorno, forse, avrei capito di amare. Ma oggi, oggi no. Oggi ero ancora intrappolato nel mio mondo di rabbia e incertezze, troppo ottuso per accorgermene davvero.

- 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 - 𝐇𝐰𝐚𝐧𝐠 𝐇𝐲𝐮𝐧𝐣𝐢𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora