Quel 18 novembre, camminavo per le strade di Roma. Il sole mattutino che si faceva largo tra i palazzi mi riscaldava, ma non riusciva a scacciare la tensione che mi serrava il petto. La lettera di accettazione dell'ALFA ART ACADEMY era piegata con cura nella borsa, come un segreto troppo grande da rivelare.
Nonostante la lettera, nonostante fossi in quella città, che per me significava tanto, la paura di affrontare il primo giorno non mi lasciava respirare.
«Devo dirlo a mamma,» ripetevo. Dovevo dirle che ero stata accettata, che avevo fatto quella scelta che mi aveva tenuta sveglia tutta la notte. Finalmente, dopo tanto tempo, avevo deciso di seguire la mia passione, ma l'ansia era una costante presenza, un'ombra che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
Mi fermai in una piazzetta tranquilla e tirai fuori il telefono.
Dopo qualche secondo di esitazione, composi il numero di mia madre. La chiamata fu breve, quasi troppo rapida per essere reale. Le parole uscirono in fretta, come se avessi paura che il coraggio mi abbandonasse da un momento all'altro.
«Mamma, sono stata accettata all'accademia di recitazione.»
Dall'altra parte del telefono ci fu un lungo silenzio. Poi, la voce di mia madre rispose, calma e attenta come sempre, ma con un'inflessione di sorpresa.
«Tesoro, non sai quanto mi renda felice questa notizia. Non immaginavo avessi deciso di fare il provino. Mi avevi detto che...»
«Lo so, mamma. Non ero sicura di volerlo fare, ma... ho capito che non potevo ignorare questo sogno per sempre. Ho pensato a lungo, e alla fine ho deciso di provarci.»
Mamma fece una pausa, e poi disse con dolcezza: «Sono fiera di te, Bianca. Ero preoccupata che ti stessi sforzando a seguire un percorso che non era il tuo. Sono estremamente felice che tu abbia trovato il coraggio di fare questo passo. Ma ricorda, qualunque cosa accada, io sarò sempre qui per te. Salutami tanto Alberto. Quel ragazzo è così altruista!»
Chiusi la chiamata con un respiro di sollievo, sentendo il peso dell'ansia ora allegerirsi un po'.
Ora, però, dovevo affrontare il primo giorno in accademia.
Mi diressi verso il grande edificio. Il teatro dell'ALFA ART ACADEMY era una meraviglia architettonica che fondeva tradizione e modernità. Un luogo in cui ogni dettagliosembrava raccontare una storia.
Rammento che rimasi senza fiato quando varcai la prima volta, il giorno del provino, le grandi porte di legno scuro che si aprivano su un atrio rivestito di marmo bianco e nero, con lampadari di cristallo che pendevano maestosamente dal soffitto a volta. Era uno spazio che, con la sua eleganza, imponeva rispetto, quasi a voler ricordare agli studenti la grandezza dell'arte che stavano per praticare.
Mentre avanzavo, i miei passi rimbovavano leggermente sulle piastrelle, accompagnati dall'eco delle mie stesse esitazioni. Le pareti dell'ingresso erano decorate con fotografie in bianco e nero di attori e attrici che avevano calcato il palco prima di me, i loro volti sembravano intrisi di emozioni vissute, quasi a voler trasmettere una sorta di passaggio di testimone.
C'erano manifesti di spettacoli memorabili, alcuni vecchi e consumati dal tempo, alcuni nuovi e ancora vivaci, ma tutti parte di un'unica tradizione artistica.
Dopo aver ritirato il materiale necessario dalla segreteria, seguii un gruppo di studenti, adocchiati mentre facevo la fila per l'ufficio amministrativo,capì che erano dei miei compagni, quando li sentì parlare dei loro provini superati.
La platea si apriva davanti a me come un mare di velluto rosso, con file ordinate di poltrone che scendevano dolcemente verso il palco. Ogni poltrona rivestita con stoffa morbida, piacevole al tatto, e le balaustre che delimitavano i vari settori erano ornate con intarsi dorati che riflettevano il gioco di luci soffuse. Immaginai il mormorio del pubblico in attesa, l'energia che riempiva la stanza quando il sipario si alzava, rivelando mondi diversi ogni sera. Il mio cuore palpitava mentre prendevo posto.
Il palco, il centro nevralgico del teatro, dominava la sala. Era ampio, rivestito di assi di legno scuro che portavano i segni di innumerevoli spettacoli, graffi e ammaccature che raccontavano le storie degli attori che vi avevano recitato, amato e sofferto. Ai lati del palco, tende di velluto rosso profondo delle poltrone, erano legate con nodi complessi, pronte a scivolare verso il centro e a celare la scena dopo ogni atto. Il sipario, imponente e solenne, sembrava quasi avere una propria vita, in grado di trasformare la sala con un solo gesto.
Pochi minuti dopo, la porta da cui poco prima ero entrata con gli altri studenti, si aprii ed entrò una donna, si presentò come nostra docente.
La professoressa Valenti, era anche membro della commissione provini. Alta, capelli raccolti in uno chignon, emanava un'aura di autorità che ci ammutolì. Senza preamboli, si avvicinò e cominciò a parlare:
«Benvenuti all'ALFA ART ACADEMY,» iniziò con voce ferma. «Qui imparerete non solo a recitare, ma anche a scoprire chi siete veramente. Il teatro non è solo un'arte, ma un modo per esplorare la verità dietro le maschere che indossiamo ogni giorno.»
Ascoltai con attenzione, sentendo un misto di paura e nervosismo crescere dentro di me. La professoressa spiegò il programma della giornata: una serie di esercizi di riscaldamento e un primo assaggio di improvvisazione.
«Il corpo e la mente devono essere pronti a esprimere qualsiasi emozione o pensiero che la scena richieda,» continuò. «Per questo, inizieremo con esercizi di respirazione e rilassamento.»
Fummo invitati a disporci in cerchio, e seguii gli altri, cercando di non attirare l'attenzione. L'esercizio iniziò con la respirazioneprofonda, un tentativo di far fluire le tensioni e liberare la mente. Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi solo sul respiro, ma la mente continuava a vagare.Mi chiedevo se tutti mi stessero osservando, se qualcuno avesse già notato la mia incertezza.
La professoressa ci gudò attraverso un aserie di movimenti lenti, progettati per risvegliare il corpo e la mente. Sentivo ogni muscolo rigido, ma cercai di seguire il ritmo, di lasciarmi andare.
Poi, ci divise in piccoli gruppi per un primo esercizio di improvvisazione. Capitai con Lara e Marco, insieme a noi c'era anche un'altra ragazza di nome Elisa.
«Il tema dell'improvvisazione sarà "L'incontro inaspettato",» annunciò la professoressa.
«Ogni gruppo deve sviluppare una breve scena partendo da questo spunto.»
Lara, come al solito, prese subito in mano la situazione. Con la sua sicurezza innata, iniziò a dare indicazioni: «Ok, io direi che potremmo fare una scena in cui due vecchi amici si ritrovano dopo anni, e uno dei due ha un segreto. Potremmo giocare sull'intensità del momento in cui il segreto viene rivelato, Io potrei essere quella che ha il segreto.»
Gli altri membri del gruppo, Marco ed Elisa, annuirono e cominciarono a discuterne i dettagli. Mi sentii inizialmente un po' esclusa, ma cercai di non darlo a vedere. Lara continuava a parlare, suggerendo dettagli e assegnando ruoli. Nonostante Lara avesse assunto il controllo della maggior parte del processo, cercai di mantenere la calma e pensai che il mio contributo potesse essere prezioso.
Quando fu il momento di recitare, mi sentii in un turbinio di emozioni. Sapevo che era il momento di dimostrare il mio valore. Il gruppo si preparò a mettere in scena la nostra improvvisazione e il momento che avevamo tanto atteso era finalmente arrivato.
La scena iniziò con Lara, che interpretava una donna che si rincontrava con un vecchio amico dopo anni di separazione. Elisa, nei panni dell'amica sorpresa, e Marco, come interlocutore esterno alla conversazione principale, osservava e forniva supporto emotivo. Quando il mio turno di entrare in scena arrivò, ero pronta. La mia parte era quella di rivelare il segreto che Lara aveva tenuto nascosto, interpretavo la sorella di Lara, le due però non andavano molto d'accordo. Come nella realtà , no?! Con il cuore in gola, iniziai a recitare. Il segreto che stavo per svelare era una verità sconvolgente: la vera identità di "Lara", che aveva mantenuto segreta per anni. Mi immersi totalmente nel ruolo con un'intensità palpabile. Le mie battute fluivano con naturalezza e riuscivo a trasmettere l'angoscia e la meraviglia del momento di grande intensità.
La scena era carica di tensione e io reagivo con espressioni autentiche, mostrando shock e incredulità. Ero riuscita ad accantonare le angosce che mi accompagnavano.
L'interpretazione mi richiedeva di scavare in profondità, e quel momento di vulnerabilità mi avvicinava sempre più alla verità che avevo tentato di evitare.
Sentivo ogni emozione con una chiarezza che non avevo mai sperimentato prima.
Appena la scena si concluse, il gruppo ricevette applausi e compimenti dalla professoressa Valenti. «Ottimo lavoro,» ci disse con un sorriso soddisfatto. «La vostra scena è stata ben costruita, e le emozioni sono state trasmesse con grande profondità. Bianca, hai interpretato il tuo ruolo con una notevole padronanza.»
Le parole della professoressa mi colpirono come una doccia di acqua fresca in estate. Il mio cuore, che fino a quel momento aveva battuto nervosamente, si rilassò.
Mentre Lara mi lanciava occhiate indignate, l'insicurezza che avevo provato all'inizio della giornata sembrava ora un lontano ricordo. La conferma del mio talento e la reazione della professoressa avevano trasformato la mia ansia in una nuova energia.
La lezione terminò e gli studenti iniziarono a lasciare il teatro.
Marco ed Elisa si avvicinarono a me. Marco mi sorrise, visibilmente soddisfatto. «Hai fatto un lavoro eccezionale, Bianca. La tua interpretazione ha dato una nuova dimensione alla scena.»
Elisa, con un sorriso di approvazione, aggiunse: «Si, davvero. Hai portato il tuo personaggio alla vita in modo brillante, hai arricchito la nostra perfomance.»
Emozionata, ringraziai i miei compagni. Quel giorno mi sembrò come se tutto si fosse allineato finalmente, sentivo di avere risvegliato la parte di me che finora era stata oppressa dalle ombre del mio passato.
Mi sedetti al tavolo della cucina, con una tazza di tè tra le mani, aprii il mio diario, un'abitudine che avevo fin da piccola, e iniziai a scrivere degli eventi della giornata. Avevo sempre trovato conforto e gioia nel documentare i momenti belli e significativi della mia vita, e oggi era uno di quei giorni da ricordare.
Annotai la soddisfazione del mio lavoro sul palco, l'approvazione della professoressa Valenti, e i complimenti dei miei nuovi amici. Riflettei su quanto fosse stato importante per me superare le ansie iniziali e come la performance avesse rappresentato una vittoria personale. Scrivere era diventato il mio modo di celebrare e conservare i momenti di crescita e di felicità, oggi sentivo che avevo davvero qualcosa di speciale da annotare.
Ripensai anche a Tommaso, il mio ex fidanzato e alla nostra storia. Lo avevo conosciuto al liceo, appena quattordicenne. Lui era stato il mio primo grande amore e la nostra storia era stata intensa. Quando avevo deciso di trasferirmi a Roma per l'università con Alberto, lui non aveva reagito bene. Non voleva che partissi. Anzi aveva insistito perché rimanessi nel nostro paesino, cercando di convincermi a mantenere la nostra vita insieme.
Tommaso aveva una mentalità più retrograda, legato a una vita semplice e prevedibile che non includeva cambiamenti radicali o ambizioni fuori dai confini del nostro piccolo mondo al paese. I suoi tentativi di trattenermi non erano solo basati sui ricordi e sui sentimenti che avevo condiviso, ma anche su una visione del futuro che non coincideva con la mia.
Se solo mi vedesse ora... Scrivendo, mi resi conto che, per quanto quei ricordi fossero belli, erano parte di un passato che non esisteva più. Io non ero più la ragazza del liceo che aveva trovato conforto tra le braccia di Tommaso, e Tommaso non era più l'amore della mia vita che avrebbe dovuto trattenermi. Capire questo fu liberatorio. Tommaso non rappresentava più un rimpianto, ma una tappa del mio percorso. Roma, con tutte le sue difficoltà, era la mia scelta, il mio presente. Dovevo smettere di guardare indietro e concentrarmi su ciò che stavo costruendo, anche se a volte sembrava impossibile. Non potevo lasciare che i fantasmi del passato mi trattenessero.
Quando finii di scrivere, mi sentii come se un peso enorme si fosse sollevato dalle mie spalle. Guardai fuori dalla finestra, verso le luci di Roma, e per la prima volta mi sembrò di vedere la città sotto una nuova luce. Non era più solo un luogo estraneo, ma la mia nuova casa. Avevo scelto di essere qui, avevvo scelto di seguire il mio sogno, e non potevo permettere al passato di fermarmi.
Con quella consapevolezza, chiusi il diario e andai a letto. Quella notte, per la prima volta dopo due mesi, dormii profondamente, senza sogni di fantasmi del passato, ma con la sensazione di essere in pace con me stessa.
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Hanging dreams: Il cuore di una nuova realtà
Short StoryBianca si trasferisce a Roma con il suo migliore amico Alberto per iniziare una nuova avventura universitaria. Mentre studia comunicazione, Bianca non riesce a scrollarsi di dosso il sogno segreto di diventare un'attrice, un desiderio che ha sempre...