Capitolo 13

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Quando aprii gli occhi, non ero più nel mio camerino. Un odore sterile e pungente di disinfettante riempiva l'aria, e sentivo un ronzio costante nelle orecchie. Ero sdraiata in un letto che non riconoscevo, non era né il mio né quello che usavo quando dormivo a casa di nonna. Il soffitto sopra di me era bianco e asettico. Mi resi conto che ero in un ospedale. Il panico mi assalì.

Scossa e disorientata, cercai di ricordare cosa fosse successo. Il mio corpo era rigido, come se fosse rimasto immobile per un lungo lasso di tempo. Quando cercai di muovere la testa, il dolore mi attraversò come una scossa elettrica.

Poi lo vidi. Alberto era seduto accanto al mio letto, con il viso segnato dalla stanchezza, dalle occhiaie e dal dolore. Aveva gli occhi lucidi e mi guardava con un'intensità che mi fece tremare il cuore.

«Alb...» sussurrai, con voce roca e debole.

I suoi occhi si spalancarono, realizzando che fossi finalmente sveglia. In un attimo si avvicinò a me, afferrandomi dolcemente la mano. «Bianca, sei sveglia... Sei tornata da me.»

«Cosa è successo? Perché mi trovo qui?» chiesi, cercando di rammentare qualcosa, anche solo un frammento.

«Sei stata in coma per quasi un mese,» rispose, con voce incrinata dalla commozione. «Hai avuto un incidente stradale... Ho avuto tanta paura di perderti.»

Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Tutto quello che avevo vissuto a Roma, il provino, il palco, la confessione di Alberto... era stato solo un sogno. Un sogno vivido e meraviglioso, ora sempre più lontano, che mi aveva lasciato con una strana sensazione di vuoto e nostalgia.

Ma una cosa era reale: Alberto era lì, accanto a me, proprio come nel mio sogno.

Hanging dreams: Il cuore di una nuova realtà Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora