𝑾𝒉𝒆𝒏 𝒘𝒆 𝒘𝒆𝒓𝒆 𝒚𝒐𝒖𝒏𝒈...

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Una settimana. Una settimana di inferno. Ogni giorno, la tentazione di incendiare questa scuola, di farla saltare in aria, è più forte.

I professori? A dir poco insopportabili. 

I loro occhi, pieni di una superiorità insopportabile, sembravano gridare: "Siete inutili!". In quei momenti, la rabbia mi saliva alla gola, un desiderio irrefrenabile di mostrare loro il mio disprezzo, di alzare un dito medio in segno di ribellione. 

Ma ero in una scuola, imprigionata dalle regole, costretta a subire i loro obblighi "bla bla bla...".

Ricordate il professore di letteratura? Quella maschera di gentilezza iniziale si è sgretolata rapidamente, rivelando un uomo diverso, spiacevole e deludente. Il suo atteggiamento iniziale, gentile e attento, era solo un'apparenza, una recita ben studiata che ha lasciato spazio a una realtà ben più sgradevole.

Per quanto riguarda le amicizie c'è un piccolo segno di speranza.

Ho incontrato Niall. Un ragazzo... diverso. 

Di una gentilezza disarmante, con capelli e occhi color castano, e un'altezza che sfiora i 180 cm. Ogni volta che mi parla, devo alzare lo sguardo, e quel gesto mi ricorda costantemente la mia statura.

Maledetta altezza.

Sky è diventata la mia ancora di salvezza. Un'amica vera, di quelle con cui puoi essere te stessa senza finzioni. Con lei, mi sento a casa.

Le altre... un branco di animali non definiti, immerse in un'illusione hollywoodiana. Si atteggiano da dive, ma sono solo galline che si pavoneggiano senza motivo, schiave di un'immagine falsa e costruita.

E l'invidia... quella è la loro vera natura.

Se una di loro raggiunge un obiettivo, le altre si disperano, piangono e si lamentano, invece di gioire per il successo altrui. 

Un'invidia che corrode, che avvelena, che le rende ancora più vuote. 

Fisicamente ero imprigionata in quel luogo, ma la mia mente... quella era libera di vagare. E lo faceva, costantemente. Ogni ora, ogni minuto, ogni dannato secondo.

Le lezioni? Un loop infinito. La mia vita? Un incubo senza fine. Non ero più me stessa. 

Mi guardavo allo specchio, ma l'immagine riflessa era quella di una sconosciuta.

A Boston avevo una vita. Amici, sogni, un futuro. Qui, solo vuoto. 

Tra loro c'era Matthew, il mio migliore amico. Passavamo ore nel cortile di casa sua, parlando di tutto, avvolti in abbracci che cancellavano il mondo.

Poi, il silenzio. Le sue parole, rare e distanti. L'allontanamento, una lama che mi squarciava l'anima, un vuoto che si espandeva senza sosta.

Mi tormentavo, alla ricerca di una spiegazione, di una colpa da attribuirmi. Mi convinsi di essere io l'errore, l'ombra che offuscava la sua luce. Ma non era così, e ora lo so.

Unique in our imperfections- in revisioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora